I segreti sudafricani: l’imperatore dei ghiaccioli a Sun City

Sun City,  una specie di Gardaland (con annesso albergo a 5 stelle e casino), ha una storia particolare.

Costruito negli anni 70 in uno degli staterelli artificiali dati in mano ai neri durante l’apartheid (chiamati Bantustan, in questo caso si trattava del Bantustan di Bophuthatswana) per raggirare le ferree regole sulla morale che andavano di voga in una super puritana Sudafrica (dove topless show e giochi d’azzardo erano vietati), dopo il crollo dell’aparthed si e’ re-inventato in una attrazione turistica utilizzata soprattutto dagli abitati di Pretoria e Johannesburg.

The monkey fountain

La fontana all’ingresso di Sun City

Lontano circa 1 ora di macchina da casa mia, tramite autostrada che porta direttamente li’ (e non va da nessuna altra parte, visto che il complesso e’ costruito all’interno di una valle), e’ spesso ignorato dai turisti che vengono qui a scoprire i soliti posti (Kruger, Cape Town e Garden Route in primis).

Io non ci tornavo ormai dal lontanissimo 2005, ovvero dalla mia prima visita turistica in questo stato che ormai da 7 anni e’ la mia casa.  Ho controllato ed ho ancora sul mio sito inglese l’articolo che scrissi allora: http://www.o2ip.com/home/read.asp?ID=41&page=3&title=Fighting_the_waves

L’occasione speciale era il compleanno di una collega (e cara amica) di Lindsey, Charlene, che ci avevano invitato a passare un weekend fuori con un gruppo ristretto di amici, per poi andare a passare la notte in una lodge a circa 7km di distanza (che aveva prezzi abbordabili: 700 rand a notte per cottage – 46 euro, rispetto ai 2500 per l’albergo all’interno del complesso – 165 euro).

Dopo aver guidato fino a li’ grazie alla fidata Renault Clio gentilmente concessaci in utilizzo da Kirsten & Andy (ci mancherebbe, vivono da Dicembre a casa mia), visto l’assenza di entrambe le nostre macchina (una rubata e una dal meccanico) arrivavamo insieme ad una clamorosa tempesta intorno alle 10.

Grazie alle condizioni climatiche non troppo favorevoli, il solito numero di turisti locali non si presentava, e cosi’, per una volta, potevo godermi Sun City senza troppe persone tra le palle. I temporali mattutini sparivano presto per lasciare il sole a comandare il resto della giornata.

Sun City after a storm

La spiaggia (artificiale)

With Lindsey

Con Lindsey!

Con Lindsey abbiamo come al solito fatto il solito mix di relax e attivita’ acquatiche: sfidare le onde (artificiali) nell’immensa Valley of the Waves, andare a fare un po’ di trekking nella giungla (artificiale) disseminata intorno alle colline e poi, grazie all’assenza di file, divertirci sulle varie attrazioni disponibili.

Everyone is waiting for the tsunami

Tutti ad aspettare le onde

Lindsey on the trail

A spasso per la giungla

Inside the waterfall

Dietro la cascata

L’highlight della giornata e’ stato decisamente la gara di ghiaccioli cui ho participato dietro richiesta di Lindsey (che ovviamente conosce il mio livello di competitive eater molto piu’ di quanto lo conosca io).

Le regole erano semplici: una volta in fila sul palco, con un ghiacciolo in mano, tutti i concorrenti (una ventina circa) dovevano tentare di finire il ghiacciolo prima possible per poi urlare “nestle'” e vincere il premio. Non c’e’ stata gara: mentre il resto dei rivali era ancora al second morso, io avevo gia’ finito.

Il premio? altri 4 ghiaccioli (per tenermi in allenamento immagino), due biglietti per uno show serale, un biglietto per un’entrata gratis e un po’ di caramelle. Il valore totale era circa 500 rand, non male per 10 secondi di duro lavoro…

Ice lolly eating champion!

Campione!

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All’interno dell’anfiteatro

With Lindsey by the valley of waves

In giro per la valle delle onde

Arrivata la sera ci siamo spostati sull piscina circolare dell’albergo (40 metri circa di diametro), dove mentre tutti bevevano cocktail, io la sfruttavo per allenarmi in vista della gara di triathlon della prossima settimana (a preso il report).

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Allenamenti prima del triathlon

Purtroppo la piscina chiudeva per i turisti intorno alle 6 (poi poteva essere sfruttata solo da chi alloggiava li’), e poco dopo eravamo in strada in direzione di Mokgatle Lodge. Il temporale che ci aveva abbandonato di mattino tornava ingrandito di 10 volte. Sotto una pioggia scrosciante io e Lindsey finivano a dormire in un cottage con un tetto di paglia  che non era stato ancora trattato, e l’acqua entrava dovunque.

Dopo un cambiamento lampo attraversando campi tra fulmini e diluvi, finalmente riuscivamo ad ottenere un posto asciutto, e, una volta passato il temporale, potevamo rilassarci con altre 4 persone intorno ad un barbecue.

At the lodge

Mokgatle Lodge

Il giorno dopo era tempo di dire addio al North West (al regione di Sun City) e tornare dalle nostre parti. Il viaggio di ritorno aveva qualche altra sorpresa: la diga dell’Haartebespoort Dam aperta e incazzata e la Renault Clio che, ovviamente, decideva di non funzionare piu’ negli ultimi 20 chilometri… (basta macchine!)

The Harteebeespoort dam full of water

Un dam incazzato

Tutte le foto le trovate qui: http://www.flickr.com/photos/organize/?start_tab=one_set72157640534236435

 

Una serata di gloria rovinata

Qualche ora dopo aver concluso l’Xterra triathlon, arrivavo a casa con Curtis per passare l’assolato pomeriggio a casa, rilassandomi in piscina, cucinando sul barbecue e bevendo birra gentilmente offerta da Andy (che, insieme a Kirsten, Campbell e 2 cani da fine Dicembre stanno vivendo con me e Lindsey mentre aspettano che il mutuo della nuova casa venga approvato – e’ il minimo che mi offrano birra).

Con un po’ di persone venute a trovarmi, dopo un po’ Lindsey e io decidiamo di uscire con i cani e passare almeno una mezz’ora da soli al parco.
Tornati e trovando 5 macchine parcheggiate dentro il cancello, decidiamo di parcheggiare la macchina davanti all’entrata, con l’idea di metterla nella sua posizione iniziale una volta che i numerosi ospiti decidono di andarsene via.

Purtroppo la macchina non tornera’ mai parcheggiata nel posto che le spetta.
Intorno alle 8, mentre io sono in ufficio, vedo un’altra macchina parcheggiare dall’altra parte della strada, sento la nostra Toyota Yaris (due mesi prima di finire di pagarla!) venire sbloccata tramite remote jammer, e purtroppo assisto al pezzo di merda che entra nella macchina e se la porta via…

Avverto Lindsey dellla catastrofe appena avvenuta (nello spazio di 20 secondi!) e salgo sulla prima macchina parcheggiata all’inseguimento. Purtroppo l’ora passata per strade e parcheggi (mentre Lindsey andava piangendo alla stazione di polizia) e’ inutile. Probabilmente hanno parcheggiato la macchina in qualche garage in attesa di smontarla pezzo per pezzo e rivendere i pezzi di ricambio…

E cosi’ la nostra Toyota Yaris, compagna di avventure dal lontano 2008, che ci ha portato in giro per il Sudafrica (e oltre) in tutti questi anni, e’ diventata un numero nelle terribili statistiche di auto rubate.

Di solito non auguro a nessuno di morire (oddio, non proprio vero), ma come vorrei che quei due bastardi vengano violentati da un rinoceronte…

 

Il problema di alzare gli standard nell’anno appena terminato

Un anno se ne va (con i soliti alti e bassi) e un altro arriva.

Mi sono svegliato il primo e ho organizzato un triathlon casalingo (piscina, mountain bike nel parco e corsa intorno al quartiere), perche’ dopo 3 settimane di baldoria e’ davvero tempo di tornare in forma.

Quest’anno ho avuto un anno con ottimi risultati sportivi, e purtroppo con uno standard da rispettare piu’ alto del 2012, se non mi rimetto in forma il prima possibile sara’ difficile ottenere risultati. 

Ho un triathlon pronto per il 26 di Gennaio (l’xTerra di Buffelspoort, gia’ fatto l’anno precedente) e ne cerco almeno altri 3/4 prima dell’inizio della stagione calcistica.

Dovrei tornare in Europa sicuramente a Luglio (per il 70esimo di mio padre), e gia’ adesso sto cercando di organizzare le vacanze con Lindsey con la speranza di riuscire a divertirmi almeno tanto quanto il Luglio scorso.
Forse torno anche a Maggio, ma non sono troppo sicuro.

Ma guardo indietro al 2013, e devo dire che, tutto sommato, non e’ stato niente male. Ora tocca a te, 2014, sorprendimi!

Pork Belly

A Natale non sono riuscito a farne una foto, e cosi’ ho cucinato di nuovo il Pork Belly, ovvero la pancia del maiale. Eccola qui in tutta la sua gloria!

Buon Anno

 

Natale a casa Olgiati (quella africana)

Dovevo essere in Italia quest’anno, come in tutti gli anni dispari da quando sono emigrato in Sudafrica.

Nel 2009 ero li’, nel 2011 pure.
Purtroppo sto appena smaltendo i costi della lunga vacanza estiva in Europa, e quando avevo l’occasione di comprare biglietti (intorno a Settembre), le carte di credito stavano tornando a respirare da poco.

E cosi’, come in tutti gli anni pari, ho organizzato il natale a casa mia, in compagnia di una ventina di persone (la famiglia di Lindsey in pratica) che venivano a spendere una giornata nell’unica casa attrezzata per permettere a ciascuno di passare il natale alla sua maniera. Tra giardino, piscina, soggiorno, pub, wi-fi disponibile per tutti (tanto pago io) e tre cessi, casa Olgiati era il posto piu’ idoneo per organizzare il pranzo.

That's how you drink cosmopolitan

Debbie apprezza il CamelBak pieno di Cosmopolitan

Antipasti

Antipasti di tutti i tipi: spiedini di verdura alla griglia, salame, prosciutto crudo, formaggi…

A differenza degli scorsi anni sono stato io ad organizzare il menu, per evitare che gente portasse cibo che poi nessuno mangiava e rimaneva nel mio frigo per mesi.

Mentre Lindsey (che aveva preparato la casa per il tema natalizio) e il resto delle donne si occupavano di insalate e dessert  (qui, nonostante la pioggia costante che ha un po’ rotto i maroni durante Natale, e’ sempre estate e le instalate sono un must, anche se quella di ananas e carote mi fa sempre schifo), io prendevo il comando della truppa maschile per organizzare antipasti (all’italiana) e la carne, e per poi passare alla coordinazione dei barman al pub.

Group picture

Una parte degli ospiti

Il giorno prima avevo razziato l’unico supermercato in cui riesco a convincere i salumieri a tagliare il prosciutto crudo ” “all’italiana” (e non a fette spesse 5mm), e il numero di antipasti era ovviamente inspirato agli ingredienti classici italiani: prosciutto crudo, salami, formaggi e focacce cucinate dietro ordini dati il giorno prima.

Jack Daniels 1954: best gift  ever

Un regalo gradito!

Ma la parte principale era la carne. Debbie (la cugina di Lindsey, vegetariana), era riuscita a trovare dal suo macellaio di fiducia (non chiedetemi perche’ una vegetariana ha un macellatio di fiducia…) tutto quello che desideravo: 2kg di manzo, 2kg di agnello e 2kg di pollo, gia’ speziati e arrotolati e pronti per essere cucinati a fuoco lento nel barbecue casalingo per 3 ore.

Inoltre mi aveva consegnato il pezzo pregiato: una pancia di maiale di circa 2kg, tagliata a mo’ di quadrato (30×30 circa), pronta per essere cucinata per circa 4 ore nel forno.
L’avevo visto fare al Masterchef Australiano qualche mese fa, e me ne ero innamorato.
Il risultato finale in televisione sembrava fantastico, e preparala non sembrava niente di difficile (l’unico elemento importante era il tempo)

E infatti tutto e’ andato come previsto: le carni si sono arrostite nella maniera desiderata, e la pancia del maiale e’ diventato il piatto del giorno, divorato da tutti (per fortuna che prima di portarlo nelle grinfie degli ospiti mi ero procurato qualche striscia per me…)

Meat is ready!

La carne e’ pronta!

Curtis is helping

Curtis aiuta a tagliare la carne

Ready to eat!

Assalto al tavolo

Lindsey and Debbie

Lindsey, Debbie e qualche dessert…

Come al solito, nonostante la pioggia incessante, il pranzo natalizio e’ stato un successo. I regali sono stati scambiati, l’alcool e’ stato consumato a litri e nessuno e’ morto dopo i dessert.

Desserts, a lot of desserts.

Lo zucchero la fa da padrone

Certo, mi mancava il resto della mia famiglia, dispersa in quel del Nord Italia.

Ma a tutti ho dedicato un silenzioso brindisi ogni volta che riempivo il bicchiere di Whisky. Perche’ saremo anche lontani, ma mi siete tutti vicini nel cuore (e nella panza).

Going for a family picture...

Alla fine della serata, e’ tempo di foto natalize con i nostri cani

E con le festivita’ finalmente terminate, e’ ora di cominciare a pensare a Gennaio, dove tornero’ a giocare a calcio e dove il 26 mi aspetta un altro triathlon…

 

Io, Mandela ed una nazione orfana

Dare addio ad un icona come Mandela, morto poco piu’ di una settimana fa, era un evento in cui il Sudafrica si stava preparando da almeno un anno – o forse da piu’ tempo – almeno da quando era stato ricoverato per i primi problemi ai polmoni (e infatti a poche ore dalla sua morte dozzine di documentari di tutti i tipi invadevano la televisione satellitare locale).

E pensare che fino al 1987 non sapevo neppure chi fosse.
Mi ricordo la data perche’, dopo che Ruud Gullit conquisto’ il pallone d’oro, la mia insegnante delle elementari mi chiese a chi lo avesse dedicato.
Io, che al tempo assorbivo libri della storia del calcio dal 1890 ad oggi e leggevo la Gazzetta quotidianamente, pensavo di sapere tutto, e invece la domanda mi colse impreparato. La risposta ovviamente fu Nelson Mandela.

Chi lo avrebbe mai detto che 26 anni piu’ tardi mi sarei ritrovato a vivere in Sudafrica, il giorno in cui lui moriva? (tra l’altro scoperto tramite SMS mandatomi dall’Irlanda dal mio ex coinquilino irlandese Rob). 

Negli ultimi 10 giorni di lutto nazionale (dove in pratica tranne i politici il resto del paese continuava a lavorare), si e’ stato detto di tutto, da tutti.

Ci sono state scene imbarazzanti, come lo stadio nazionale (l’FNB stadium, dove nel 2010 fu decisa la coppa del mondo) mezzo vuoto per colpa dei temporali, e con continui fischi contro l’attuale e odiatissima presidente Zuma (il piu’ corrotto della giovane democrazia sudafricana, e ne parlavo gia’ anni fa…), mentre Obama ritrovava l’energia perduta negli Stati Uniti e tirava fuori il miglior discorso della giornata.
Oppure la pessima organizzazione per i vari eventi in ricordo di Mandela.

Ma ci sono state anche scene tristi e commoventi, di una nazione che, senza differenze di colore, piangeva la scomparsa di chi ha portato, primo nella storia, un paese africano ad un cambio di potere senza laghi di sangue cosi’ comuni in tutte le altre parti del continente nero.

Certo, bisogna stare attenti a non santificare Mandela (a forza di leggere la BBC sembra di essere davanti alla morta di Cristo), ma anche a non classificarlo solo come “terrorista” (chiedete ai politici americani e inglese degli anni 80, oppure ai revisionisti storici di adesso).

Era Mandela un terrorista? No, almeno non nel senso considerato attualmente (alla al-qaeda).
Era invece un terrorista tanto quanto lo erano i partigiani italiani durante i vari movimenti di liberazione durante la seconda guerra mondiale. 

L’ANC inizialmente, per ribellarsi alle odiose leggi razziali, aveva instituito un movimento di non-violenza per farsi sentire. Ma la risposta del governo di allora fu semplicemente di combattare i ribelli con la violenza.

Mandela (e il resto dell’ANC) decise allora di iniziare a fare sabotaggi di tipo terroristico, colpendo uffici pubblici e stazioni strategiche, ma sempre tentando di fare scoppiare le bombe quando all’interno degli edifici non c’era nessuno, minimizzando il numero di vittime (che avrebbero portato l’opinione pubblica, gia’ guidata in una direzione contraria dai giornali di stato e dalle radio, a odiare ancora di piu’ il movimento) e massimizzare la protesta.

Dopo qualche anno Mandela fu arrestato, e nel 1964, poco prima di finire ai lavori forzati (a vita) a Robben Island, affermo’, durante il famoso Rivonia Trial questo:

Ho dedicato tutta la mia vita a favore della lotta civile degli Africani. Ho combattuto contro il dominio bianco, e ho combatutto contro il dominio nero. Ho avuto a cuore l’ideale democratico di una societa’ libera in cui tutte le persone possono vivere in armonia e possono avere le stesse opportunita’. E’ un ideale per il quale sono pronto a continuare a vivere per vederlo realizzato. Ma se, Mio Signore, deve essere necessario, sono pronto a morire (per quello in cui credo).

Non fu ucciso (nonostante la pressione politica), e fu mandato a Robben Island.

Ne usci’ 27 anni dopo, dopo un ventennio di pressioni internazionali in cui il Sudafrica si trovo’ sotto embargo economico, e, soprattutto, sportivo.

Ne usci’ e invece di cercare vendetta, cerco’ riconciliazione.

In prigione aveva capito che se un giorno l’ANC fosse andato al potere, sarebbe partita una guerra civile.

E cosi’, in compagnia di De Klerk (l’ultimo presidente bianco, che vinse il Nobel della Pace con Mandela), inizio’ il processo di riconciliazione che nel 1994 porto’ alle prime elezioni democratiche.

Per Mandela, nonostante il successo politico, quelli furono anni difficili. Tento’ di capire il nemico (da qui la favolosa frase: Conosci il tuo nemico, e impara il suo sport preferito), e di farsi amare da una nazione che aspettava di finire in guerra.  Nel frattempo doveva tenere a bada i bracci armati dell’ANC, guidata dall’ex-moglie Winnie che volevano semplicemente buttare fuori tutti i bianchi seguendo il modello Zimbabwe.

Il film Invictus, uscito qualche anno fa, sara’ stato anche il solito film hollywodiano, ma credetemi, per i Sudafricani bianchi vedere il primo presidente nero indossare la Springbok Jersey, l’uniforme della squadra di rugby per decenni simbolo dell’apartheid, fu la prova d’amore che serviva a riunire una nazione lacerata. 

Sono passati quasi vent’anni e il sogno di Mandela e’ stato probabilmente tradito da una classe politica nera che si e’ arricchita troppo in fretta, cercando quella vendetta che voleva da decenni, ottendendola in chiave economica (a discapito degli stessi cittadini neri, ora poveri piu’ che mai).
Il Sudafrica adesso guarda al futuro e spera che il recente passato lo aiuti a superare la morte dell’amato Tata (padre in Zulu).

Saranno anni difficili senza una guida come Mandela.
Ma se il Sudafrica e Madiba hanno mostrato al mondo qualcosa, e’ che, insieme, tutto e’ possibile.