Io, Mandela ed una nazione orfana

Dare addio ad un icona come Mandela, morto poco piu’ di una settimana fa, era un evento in cui il Sudafrica si stava preparando da almeno un anno – o forse da piu’ tempo – almeno da quando era stato ricoverato per i primi problemi ai polmoni (e infatti a poche ore dalla sua morte dozzine di documentari di tutti i tipi invadevano la televisione satellitare locale).

E pensare che fino al 1987 non sapevo neppure chi fosse.
Mi ricordo la data perche’, dopo che Ruud Gullit conquisto’ il pallone d’oro, la mia insegnante delle elementari mi chiese a chi lo avesse dedicato.
Io, che al tempo assorbivo libri della storia del calcio dal 1890 ad oggi e leggevo la Gazzetta quotidianamente, pensavo di sapere tutto, e invece la domanda mi colse impreparato. La risposta ovviamente fu Nelson Mandela.

Chi lo avrebbe mai detto che 26 anni piu’ tardi mi sarei ritrovato a vivere in Sudafrica, il giorno in cui lui moriva? (tra l’altro scoperto tramite SMS mandatomi dall’Irlanda dal mio ex coinquilino irlandese Rob). 

Negli ultimi 10 giorni di lutto nazionale (dove in pratica tranne i politici il resto del paese continuava a lavorare), si e’ stato detto di tutto, da tutti.

Ci sono state scene imbarazzanti, come lo stadio nazionale (l’FNB stadium, dove nel 2010 fu decisa la coppa del mondo) mezzo vuoto per colpa dei temporali, e con continui fischi contro l’attuale e odiatissima presidente Zuma (il piu’ corrotto della giovane democrazia sudafricana, e ne parlavo gia’ anni fa…), mentre Obama ritrovava l’energia perduta negli Stati Uniti e tirava fuori il miglior discorso della giornata.
Oppure la pessima organizzazione per i vari eventi in ricordo di Mandela.

Ma ci sono state anche scene tristi e commoventi, di una nazione che, senza differenze di colore, piangeva la scomparsa di chi ha portato, primo nella storia, un paese africano ad un cambio di potere senza laghi di sangue cosi’ comuni in tutte le altre parti del continente nero.

Certo, bisogna stare attenti a non santificare Mandela (a forza di leggere la BBC sembra di essere davanti alla morta di Cristo), ma anche a non classificarlo solo come “terrorista” (chiedete ai politici americani e inglese degli anni 80, oppure ai revisionisti storici di adesso).

Era Mandela un terrorista? No, almeno non nel senso considerato attualmente (alla al-qaeda).
Era invece un terrorista tanto quanto lo erano i partigiani italiani durante i vari movimenti di liberazione durante la seconda guerra mondiale. 

L’ANC inizialmente, per ribellarsi alle odiose leggi razziali, aveva instituito un movimento di non-violenza per farsi sentire. Ma la risposta del governo di allora fu semplicemente di combattare i ribelli con la violenza.

Mandela (e il resto dell’ANC) decise allora di iniziare a fare sabotaggi di tipo terroristico, colpendo uffici pubblici e stazioni strategiche, ma sempre tentando di fare scoppiare le bombe quando all’interno degli edifici non c’era nessuno, minimizzando il numero di vittime (che avrebbero portato l’opinione pubblica, gia’ guidata in una direzione contraria dai giornali di stato e dalle radio, a odiare ancora di piu’ il movimento) e massimizzare la protesta.

Dopo qualche anno Mandela fu arrestato, e nel 1964, poco prima di finire ai lavori forzati (a vita) a Robben Island, affermo’, durante il famoso Rivonia Trial questo:

Ho dedicato tutta la mia vita a favore della lotta civile degli Africani. Ho combattuto contro il dominio bianco, e ho combatutto contro il dominio nero. Ho avuto a cuore l’ideale democratico di una societa’ libera in cui tutte le persone possono vivere in armonia e possono avere le stesse opportunita’. E’ un ideale per il quale sono pronto a continuare a vivere per vederlo realizzato. Ma se, Mio Signore, deve essere necessario, sono pronto a morire (per quello in cui credo).

Non fu ucciso (nonostante la pressione politica), e fu mandato a Robben Island.

Ne usci’ 27 anni dopo, dopo un ventennio di pressioni internazionali in cui il Sudafrica si trovo’ sotto embargo economico, e, soprattutto, sportivo.

Ne usci’ e invece di cercare vendetta, cerco’ riconciliazione.

In prigione aveva capito che se un giorno l’ANC fosse andato al potere, sarebbe partita una guerra civile.

E cosi’, in compagnia di De Klerk (l’ultimo presidente bianco, che vinse il Nobel della Pace con Mandela), inizio’ il processo di riconciliazione che nel 1994 porto’ alle prime elezioni democratiche.

Per Mandela, nonostante il successo politico, quelli furono anni difficili. Tento’ di capire il nemico (da qui la favolosa frase: Conosci il tuo nemico, e impara il suo sport preferito), e di farsi amare da una nazione che aspettava di finire in guerra.  Nel frattempo doveva tenere a bada i bracci armati dell’ANC, guidata dall’ex-moglie Winnie che volevano semplicemente buttare fuori tutti i bianchi seguendo il modello Zimbabwe.

Il film Invictus, uscito qualche anno fa, sara’ stato anche il solito film hollywodiano, ma credetemi, per i Sudafricani bianchi vedere il primo presidente nero indossare la Springbok Jersey, l’uniforme della squadra di rugby per decenni simbolo dell’apartheid, fu la prova d’amore che serviva a riunire una nazione lacerata. 

Sono passati quasi vent’anni e il sogno di Mandela e’ stato probabilmente tradito da una classe politica nera che si e’ arricchita troppo in fretta, cercando quella vendetta che voleva da decenni, ottendendola in chiave economica (a discapito degli stessi cittadini neri, ora poveri piu’ che mai).
Il Sudafrica adesso guarda al futuro e spera che il recente passato lo aiuti a superare la morte dell’amato Tata (padre in Zulu).

Saranno anni difficili senza una guida come Mandela.
Ma se il Sudafrica e Madiba hanno mostrato al mondo qualcosa, e’ che, insieme, tutto e’ possibile.

Tornare in Europa e tornare a Londra. Cronache vacanziere di sudafricani (capitolo 3 di 3)

Delle tre “regioni” visitate (Nord Italia, Sicilia e Londra), gli unici momenti in cui ho potuto rilassarmi sono stati nella capitale londinese. Per una settimana non ho dovuto tradurre, e sono tornato a lavorare nel mio vecchio ufficio a Brentford, mentre il resto della truppa se ne andava in giro e si divertiva.

Io invece ogni mattina mi svegliavo alle 6.30 per prendere i mezzi pubblici e diventare un pendolare inglese (durante i 6 anni a Londra andavo in ufficio solo in bici…). Bus, metropolitana e poi treno: stare dagli zii di Lindsey era comodo da un punto di vista economico (non pagavamo niente), ma attraversare per 2 ore Londra dal Nord al Sud e poi da Sud ad Ovest mi faceva perdere 4 ore ogni giorno. 4 ore passate piu’ che altro a leggere il mio fidato kindle.

Sbarcati dalla Sicilia di pomeriggio, avevamo solo 3 ore di tempo per uscire dall’aereporto, prendere i bagagli, e rifare il checkin per Gatwick. Per fortuna grazie all’aiuto di mia madre, indispensabile, eravamo riusciti nell’intento di riconfigurare i bagagli (pieni di costumi da bagno, limoni e sabbia siciliana) per sottostare alle stringenti norme di Easyjet, facendo il checkin ad un solo bagaglio e portando il resto all’interno dell’aereo.

Qualche ora piu’ tardi arrivavamo tutti e cinque a Gatwick, dove le nostre strade si seperavamo: io e Lindsey andavano a North Finchley, a stare da Jonny e Pamela, gli zii di lei, mentre Debbie, Jade e Kaitlin andavano ad Est, a stare col fratello di Debbie, da anni residente a Londra.

Cosi’, tranne il primo weekend (passato allegramente in giro per Londra e a mangiare invitati da Sally, cugina di Lindsey (che ha appena avuto un figlio), ho passato davvero poco tempo in compagnia.
Di solito ritrovavo Lindsey in giro per Londra dopo aver finito di lavorare, e come al solito entrambi preferivamo passare il tempo a passeggiare e rivedere i vecchi locali e posti in cui ci eravamo conosciuti 10 anni fa.

Mentre il resto della truppa  andava in Galles dall’amica di Lindsey (Sian, che ha avuto anche lei un figlio), e al Doctor Who expo in Cardiff, passava una giornata all’Harry Potter Studio Tour (purtroppo vista l’assenza di biglietti per domenica io ho dovuto saltare…), e un’altra in compagnia di Shakespeare (al Globe), Madame Tussaud’s e il London Eye, io mi ritrovavo a tornare stanco morto e riuscivo a trascinarmi fuori soltanto per andare al cinema di notte oppure al musical, con Lindsey, per vedere l’ottimo (visto le basse aspettative) Once.

L’unico contrattempo in una settimana volata via liscia e veloce e’ stato con il passaporto di Lindsey: sbarcati a Malpensa lei se lo e’ scordato in aereo (Easyjet), che appena veniva sbarcato veniva fatto subito imbarcare con i prossimi passeggeri. Seguivano corse a destra e sinistra da parte mia per comunicare con l’ottimo ufficio bagagli smarriti e fermare l’aereo. Fortunatamente tutto e’ andato a posto e Lindsey, dopo un’ora passata in panico, poteva riattraversare il confine e tornare in Italia!

 

Boarding from Sicily to London
Partenza da Malpensa

Putney Bridge
A Putney Bridge, il “nostro” ponte

Lindsey on our favourite  bridge
Da una parte Fulham (dove vivevo io), dall’altra Putney (dove viveva lei)

GBK Time!
Ritorno al nostro ristorante preferito: il GBK!

Best burgers in town at GBK
L’hamburger migliore di Londra

Lindsey and Gemma
Nel parco con Gemma

With Lindsey
Di ritorno a Richmond Park

This is the tree where I proposed in 2007
Sotto questo albero, 6 anni fa, mi ero ufficialmente fidanzato

Lindsey's old apartment in East Sheen
L’appartemento di Lindsey in East Sheen

Relax for the Olafmeister
A casa di Sally, dove finalmente posso riposarmi

Inside with August
Con il figlio di Sally

On the beach in Wales
In Galles da Sian, mentre io rimango a Londra a lavorare

Alone at the movies
Da solo al cinema dopo una lunga giornata di lavoro

With Lindsey after watching "once"
Dopo aver visto “once”

At Madame Tussaud's (shrek)
Lindsey e Shrek

Inside the Globe Theatre
Al Globe Theatre

Inside (and above) London
All’interno del London Eye

Pimms by the Thames
Un Pimms per finire la settimana

By the Tower Bridge with Lindsey
Come al solito sotto il Tower Bridge

Wand duel
Duello allo studio tour di Harry Potter

P1010620

Ultimo barbecue con Jonny e Pamela

Lindsey after losing the passport
Lindsey dopo aver perso il passaporto

Lindsey after finding the passport!
Lindsey dopo aver ritrovato il passaporto…

Il resto delle foto le trovate qui

Due settimane a diverse altitudini e climi. Stage 2: Whisky, lacrime e corse in Italia

Inizialmente non dovevo venire in Italia. Il mio biglietto, pagato gentilmente da Londra, mostrava chiaramente due direzioni: Johannesburg – Londra, e poi Londra – Johannesburg 5 giorni dopo. Sarei dovuto atterrare di domenica mattina e poi riposarmi in attesa di ricominciare un’altra settimana piena di impegni di lavoro.

Invece pochi giorni prima della mia partenza mi e’ arrivata una di quelle telefonate che non sentivo dal 2009 (quando in poco tempo morirono mio nonno in Polonia e mio zio in Italia). Stavolta a dire “ciao mondo, e’ stato tutto bello, ma noi ci rivedremo solo piu’ tardi” e’ stata mia zia Graziella, madre di Davide e Simona.

Olaf in Italy, February 2013
Se faceva freddo a Londra…

Con il mio cugino piu’ giovane ho sempre avuto una relazione speciale, grazie soprattutto ai pochi anni che ci dividono.

Compagno di giochi durante i Natali famigliari (i regali quasi venivano coordinati cosi’ potevamo giocare coi vari Lego / Transformers / Cavalieri dello Zodiaco etc…), poi compagno di avventure in Polonia durante le mie ultime estati italiane, sono rimasto in contatto con lui grazie alle passioni che entrambi abbiamo in comune: il militare (se ho cambiato vita e’ stato grazie al periodo da Bersagliere, mentre lui sta facendo carriera nell’esercito come Alpino, con un’esperienza memorabile in Afghanistan), il whiskey e lo sforzo fisico alla Rocky, in cerca di quella gloria che nessuno riuscira’ mai a capire.

Ho passato tutti i miei 3 giorni in sua compagnia. Dopo aver coraggiosamente passato i mesi scorsi di fianco a sua madre, che ha lottato coraggiosamente contro l’unica malattia bastarda che sconfigge le persone piene di vita come lei, ha praticametne deciso di passare il weekend con me. Abbiamo bevuto (di tutto), abbiamo parlato (con nostalgia del passato, con onore del presente e con speranza per il futuro), anche se tante volte i discorsi erano pronunciati in maniera alquanto brilla, ma soprattutto abbiamo corso.

Olaf in Italy, February 2013

Mattina prima di andare a correre, dopo 2 ore di sonno…

Olaf in Italy, February 2013,

Tutti pronti per la partenza

Domenica mattina, mentre Milano decideva di farsi coprire di neve (a fine Febbraio!), io e Davide, dopo essere andati a dormire alle 3.30 dopo l’ennesima serata alcolica al (solito) Texas, eravamo in piedi alle 6.30 per guidare in direzione Rho.

La neve scendeva e guidare era quasi impossible. Eppure, nonostante tutto, arrivavamo a Rho giusto in tempo per la partenza. La gara (la tradizionale Avisada locale, organizzata dall’Avis) doveva svolgersi su un percorso cittadino, ma viste le condizioni improbabili era stato deciso all’ultimo momento di correre intorno al canale scolmatore Nord, in un percorso con poco asfalto (tranne alla partenza e all’arrivo), e tanto fango e moltissima neve.

Mentre tutti correvano e si coprivano in qualsiasi maniera, i due cugini Olgiati affrontavano le intemperie nell’unico modo possibile: sbattendosi e correndo in calzoncini e maglietta.

Due giri, 13km, e arrivo in cui, invece di ricevere medaglie, ottenevamo vino e caffe’. Sentendoci eroi e con ancora litri di alcool nel sangue.

Olaf in Italy, February 2013
All’arrivo, belli freschi

Olaf in Italy, February 2013
Meglio delle medaglie

Probabilmente se in futuro provero’ a ricordarmi come ho passato quel weekend italiano, me lo ricordero’ cosi, correndo sotto la neve con mio cugino, confondendo qualche lacrima con la neve che si scioglieva sulla barba incolta.
Perche’ era l’unico modo per onorare i morti: sentendoci vivi piu’ che mai a zero gradi.

Naturalmente qualche ora dopo eravamo al cimitero, ad onorare i morti come si deve. Perche’, come ripetono i Dropkick Murphys, colonna sonora del weekend, in Rose Tattoo:

You’ll always be there with me
Even if you’re gone
You’ll always have my love
Our memory will live on

Olaf in Italy, February 2013
Cimitero di Legnano

Olaf in Italy, February 2013
Non troverai mai un posto piu’ silenzioso

Certo, ho fatto anche altre cose: sono riuscito dopo 10 anni a fare gli auguri di persona a Massi per il suo compleanno (altro che Skype), ho rivisto le solite facce che voglio rivedere ogni volta che torno (Beppe e Mera per esempio), ho fatto un brunch con mia madre (diventato poi lunch, ma vabbe’), e passato un po’ di tempo a parlare con mio padre e mia sorella (difficile beccarli in contemporanea, Olga fa sempre orari assurdi di lavoro).

Ho rivisto l’Italia, sono tornato ad assaggiare la neve, e mi sono ricordato del passato. Ora devo solo sperare che il mio prossimo viaggio in Italia non sia forzato da altri eventi nefasti. Cari amici miei, quand’e’ che mi invitate ad un matrimonio, per esempio?

Olaf in Italy, February 2013
Con Beppe

Olaf in Italy, February 2013
Con Massi

Olaf in Italy, February 2013
Mio padre e Davide (photobombing by Tyson)

Due settimane a diverse altitudini e climi. Stage 1: Londra

Inutile nasconderlo: ero andato a Londra solo per lavorare,cosi come a Dicembre.
Da tempo stiamo provano a cambiare marcia con un cliente dalle potenzialita’ enormi, e da 4 mesi lavoravamo per una serie di meeting. Potete capire l’importanza degli incontri dal fatto che il cliente mi ha pagato il viaggio – due volte – senza scali da Johannesburg a Londra (potevamo anche farmi l’upgrade in business class pero’, per una volta!)

Tornare a lavorare negli stessi uffici calcati dal 2001 al 2007 non e’ troppo difficile. La mia vecchia e fidata tastiera e’ ancora li’, e in 5 minuti sono pronto a lavorare dal mio laptop. Il problema invece e’ abituarsi alle diverse condizione ambientali.

Qui in Africa lavoro da casa. Se ho troppo caldo mi metto in mutande o mi butto in piscina. Se ho voglia di andare a correre prendo e vado. Se ho voglia di prendere i cani e portarli a spasso nessuno mi ferma. Senza contare che gli unici contatti umani tanto di umano non hanno, visto che hanno 4 zampe e una coda (e tante volte sono meglio di colleghi)

In ufficio a Londra invece oltre a combattere con una vescica violentata dall’aria condizionata (troppo caldo dentro, troppo freddo fuori e ogni volta che esco voglio pisciare) mi trovo in una situazione semi-sociale in cui davvero non riuscirei piu’ a tornare.

In London, February 2013
In London, February 2013
Senza contare le cose che mangio a Londra

Il cervello mi si spegne ogni 2 ore di intenso utilizzo, e alla fine passo il tempo libero a chiamare via Skype in Sudafrica oppure a fare incetta di acquisti via amazon (a questo giro mi sono portato a casa un Garmin ForeRunner 910XT per allenarmi meglio e una Panasonic Lumix DMC-TZ30 per sostituire il modello precedente distrutto, tutte scontate all’occasione e consegnate in 24 ore!)

Nonostante tutto, sono riuscito a ritagliarmi del tempo libero, la notte. Stavolta il mio solito collega stava facendo trasloco verso la campagna, e mi hanno messo in albergo a 15 minuti dall’ufficio. Regolarmente alle 8 di sera prendevo e uscivo, sfidando venti freddi di cui il mio corpo ha solo una remota memoria.

Da Kew Bridge per 3 sere ho preso il treno e, una volta scaricato a Waterloo, ho passato le nottate a camminare, da solo, in una citta’ che una volta era la mia.

Mi sono lasciato guidare dai ricordi (riuscendo anche a incontrare di nuovo amici che non vedevo di persona da almeno 5 anni). Ho camminato, senza mai prendere la metropolitana, come facevo dieci anni fa (ok, una volta usavo solo la bici…)

Non mi sono mai perso (ci mancherebbe), e ho ritrovato pezzi di Londra che non incontravo da solo da anni.
Ho mangiato comprando al solito Tesco (che dopo mezzanotte ha praticamente tutto in offerta clamorosa) e ho bevuto Guinness finalmente decenti in pub che  frequentavo prima che incontrassi Lindsey (guardando il Milan battere il Barcellona circondato da inglesi che odiano i club spagnoli). In silenzio. Da solo.

Se solo mi fossi portato dietro piu’ paia di calze senza buchi magari non sarei arrivato regolarmente dopo mezzanotte con i piedi gelati, obbligandomi a tornare in albergo e fare un bagno assurdamente caldo alle 2 di notte…

Ecco comunque qualche foto veloce dalle mie giornate londinesi (tutte fatte con il fidato iphone e ovviamente instagram!)

In London, February 2013

In London, February 2013

In London, February 2013

In London, February 2013

In London, February 2013

Due settimane a diverse altitudini e climi: intro

Finalmente sono tornato. Non ho nessun viaggio programmato almeno fino a fine Giugno e posso tornare nella mia routine quotidiana fatto di tardi risvegli, passeggiate coi cani, pomeriggi con Lindsey e interruzioni al lavoro di solito dovute alla necessita’ di tuffarmi in piscina o andare a correre.

Sono state due lunghe settimane. Passare dai 30 a 1700m slm di Johannesburg ai 5 di Londra, atterrare a Milano e correre con la neve e un bel -1, prendere l’aereo, tornare a Johannesburg e poi rifare le valigia per andare a Durban, sull’oceano, con 35 gradi e umidita’ pazzesca e’ stato davvero difficile.
Soprattutto se la maggior parte del tempo e’ stata spesa a mangiare o bere.

A Londra il clima era il seguente:

In London, February 2013

Mentre atterrato in Italia era cosi’:
Olaf in Italy, February 2013

Invece a Durban, pochi giorni dopo:
Hot in Durban

Ora ti tocca riordinare foto, idee ed eventi per descrivere due settimane passate tra amici, lavoro e (quando potevo) corse!