L’eredita’ del mondiale

Dopo aver speso chissa’ quante vagonate di soldi per creare o ampliare le necessarie infrastrutture (stadi, autostrade, etc…) durante la coppa del mondo, il governo locale sta cercando in qualche modo di recupare i soldi spesi, dopo essersi accorto che i soldi arrivati da turisti e sponsor sono stati molto di meno di quelli che si aspettavano (e cosi’ addio nuove Mercedes per i parlamentari…)

Il governo continua ad assicurare che la coppa del mondo ha creato innumerevoli nuovi posti di lavoro. Certo, circa 160.000 posizioni sono state create per assicurare che la costruzione degli stadi andasse a buon punto, e che le autostrade fossero al 100% prima di Giugno 2010 (non il Gautrain, che colleghera’ Pretoria a Johannesburg solo il prossimo Giugno, un anno esatto dalla promessa apertura di quel tratto).
Quanti di questi lavori sono diventati pero’ permanenti? Nonostante il governo non si pronunci, sul Sunday Times di settimana scorsa affermavano che la durata media di quelle 160.000 posizione fosse poco piu’ di 2 mesi…

Dopo anni (decenni) di autostrade gratis, da Aprile 2011 iniziera’ a funzionare il costosissimo programme e-Toll. In pratica una serie di telecamere posizionate lungo la M1 (che gira intorno a Johnannesburg) leggera’ le targhe o ricevera’ istruzioni da uno degli accrocchi che saranno resi obbligatori per automaticamente e prelevera’ soldi dai conti in banca o da carte prepagate degli autisti.
Il problema?
A differenza dell’Europa, qui girano un sacco di macchine rubate, con targhe non registrate, non ufficiali, oppure senza targhe di nessun tipo.
I tassisti (che portano in giro sui furgoncini la maggior parte dei sudafricani neri verso i posti di lavoro) si sono gia’ lamentati e hanno detto che non pagheranno mai (cosi’ come fanno con le numerose multe, tanto che il governo stava pensando ad un amnistia visto che non ci sta dietro con gli archivi a tentare di far pagare multe di 2-3 anni fa…).

Cosa succedera’ ai turisti che noleggiano una macchina e viaggiano nel Gauteng? Boh. Come funzionera’ con gli autisti provenienti da Cape Town, o Durban, dove le autostrade sono ancora gratis e dove non bisogna registrare la targa per avere la carta prepagata? Non lo sa nessuno. A 3 mesi dall’inizio del programma le domande sono tante e si sa solo che, per i pendolari che usano l’autostrada tutti i giorni per andare a Sandton (dove di solito trovi la maggior parte delle aziende di un certo tipo) pagheranno circa 1000 rand al mese in piu’ (100 euro, circa l’8% di uno stipendio medio!).

Finira’ come con le tasse: il 10% delle popolazione (indovinate la maggior parte di che colore) le paga e il resto no…

Intanto, sempre per collegarsi alla coppa del mondo, e’ notizia recente che la partita tra Kaiser Chiefs e i Moroka Swallows e’ stata cancellata perche’ hanno rubato i cavi dell’elettricita’ di fianco a Soccer City, lo stadio dove si e’ svolta la scorsa finale…

Vuvuzela, Mandela e una pazza partita: memorie di una finale del mondiale

E’ stata dura rifiutare circa 500 euro per i due biglietti che mi ero tenuto per la finale. Dopo avere venduto tutti gli altri biglietti, devo ammetterlo: per un mometo ho pensato di vendere anche gli ultimi due.
Invece ho deciso di tornare ad uno stadio quasi 2 settimane dopo l’eliminazione dell’Italia in quel di Ellis Park. Dopotutto, quante volte nella vita si ha l’occasione di andare a vedere una finale dei mondiali di calcio? Quasi mai.

Qualcuno pensa ancora che le Olimpiadi siano il massimo evento sportivo. Ridicolo. Le Olimpiadi, con centinaia di vincitori in decine di sport differenti, vanno giusto bene per fare felici tutti quei paesi e tifosi che si interessano a certi sport una volta ogni quattro anni. Non ci sono tifosi, solo spettatori. Alcune competizioni danno medaglie ridicole, come ad esempio il nuoto. Esiste un solo modo di nuotare piu’ veloce degli altri (e si chiama stile libero), che senso ha dare medaglie per stili diversi, piu’ lenti?
E’ come se Bolt vincesse i 100metri e poi si presentasse ad altre categorie di 100 metri: i 100 metri corsi all’indietro, i 100 metri corsi strisciando, i 100 metri corsi saltellando. E infatti imprese come quelle di Phelps non mi sembrano cosi’ eccezionali. Poi tanto, degli eroi olimpici, ci si scorda per altri 4 anni.

La coppa del mondo di calcio premia una squadra una volta ogni 4 anni, ed ogni nazione aspetta solo quel momento dopo aver pregato, tifato, imprecato e sperato per numerosi mesi.
I giocatori che vi partecipano non sono dimenticati tra una coppa e l’altra, ma vengono tifati e spremuti dai club in numerose competizioni, e spesso, nonostante siano i miglior durante la stagione, non riescono a partecipare al mondiale semplicemente perche’ la loro nazionale non si qualifica.

Per un mese nomi ignoti (chi aveva sentito parlare di Oezil? O Hondo?) diventano superstar, altri crollano schiacciati dalle aspettative (chi per motivi fisici, come Torres e Kaka, chi per sopravvalutazione nel paese di origine, come Rooney), e gioia e lacrime diventano le protagoniste alternandosi in base ai risultati.

Inutile negarlo: e’ l’evento sportivo piu’ importante al mondo, nello sport piu’ giocato in questo pianeta (e sareste sorpresi a scoprire la classifica degli sport piu’ praticati…).

Cosi’, una domenica pomeriggio, io e Lindsey abbiamo salutato tutti, indossato i colori nazionali (lei maglietta Sudafricana, io felpa dell’Italia campione del mondo, almeno ancora per qualche ora), e abbiamo guidato verso il solito Park&Ride, organizzato benissimo, all’interno dell’Universita’ del Wits.
Da li’ abbiamo preso la navetta e, 20 minuti dopo, parcheggiavamo a 1km di distanza da Soccer City (il Calabash), che dopo i mondiali diventera’ molto probabilmente la casa della nazione di rugby sudafricana, e cambiera’ nome.

The beautiful calabash
Soccer City

Intorno a noi c’erano soprattutto tifosi olandesi, e tifosi sudafricani che avevano deciso, in nome della provenienza boera, di tifare Olanda. I tifosi spagnoli erano pochi, ma numerosi, anche se la maggior parte dei tifosi neutrali (indiani, cinesi, qui comunita’ enormi) indossavano la casacca della Roja.

Arrivati al bellissimo stadio (niente da dire, costruito in maniera fantastica, cosi’ come quelli di Cape Town e Nelspruit) ci siamo seduti e abbiamo aspettato l’inizio della cerimonia di conclusione.

Lindsey is ready too for the final
Lindsey tifa Olanda

Come on Holland!
All’interno dello stadio

Lindsey era curiosa ed era venuta con me soprattuttto per questo. Io invece pensavo che mi sarei annoiato (come in quella di Pechino) per poi riprendermi all’inizio della partita. E invece… e invece un’ora dopo ero ancora a bocca aperta.

Avevo sempre pensato che la maggiore parte degli effetti visivi dal vivo o erano fatti in CGI e poi mostrati solo in televisione, o, dall’interno dello stadio, non sarebbero stati grandiosi. Quanto mi sbagliavo. Una volta spente le luci e’ uscita fuori Shakira e l’intero stadio si e’ messo a ballare al ritmo di Waka Waka, per poi dare il via ad un serie di coreografie incredibili.
Un qualche proiettore mostrava immagini sul campo da calcio che erano davvero incredibili. I ballerini,che si alternavano ad altri cantanti ed elefanti, erano perfetti.
Per un’ora l’intero stadio era in piedi e una volta partiti i fuochi artificiali e gli effetti di luce tutti erano tornati bambini.

Ke nako!
Si inizia

Shakira
Shakira fa ballere 80.000 persone

Just awesome
Fantastico spettacolo

Poco prima della partita c’era ancora tempo per vedere due eroi. Uno tutto Sudafricano, Nelson Mandela (accolto da un boato dello stadio che credo sara’ impossibile ripetere nella storia, 85000 persone in piedi, nessuno seduto), e poi uno tutto Italiano, Fabio Cannavaro, tornato in Sudafrica a consegnare la coppa del mondo nelle mani della Fifa.

The stadium goes insane for Mandela
Arriva Mandela

Nelson Mandela arrives in Soccer City
Lo stadio impazzisce

Memories of 2006, Berlin
Cannavaro restituisce la coppa

Non so se in televisione si e’ visto, ma un pazzo aveva tentato di correre dal calcio d’angolo verso la coppa, tentando di sfiorarla. E’ riuscito a seminare i lenti addetti alla sicurezza sudafricani, ma e’ stato placcato dalle guardie del corpo della Fifa.

Someone tries to invade the pitch
L’invasore di campo

Poi, finalmente, e’ stata la volta della partita. Rivendendola in televisione qualche giorno fa, mi ha colpito la brutalita’ dell’incontro: allo stadio sembrava semplicemente che i giocatori spagnoli venivano toccati e cadevano giu’ ogni volta. E infatti la Spagna e l’arbitro venivano seppellitti di fischi ad ogni cartellino ricevuta dall’Olanda.
Olanda che tra l’altro come al solito aveva addottato il solito schema degli 8 in difesa e tre in attacco. Ogni palla dopo il centrocampo passava per Robben (terribile il suo sbaglio davanti al portiere), Snejder (che e’ stato davvero sotto tono) o Van Persie (pessimo come in tutto il mondiale).
La Spagna invece, nonostante il tiki-taka continuamente interrotto dal pressing e dai falli olandesi, aveva piu’ chance (anche se nessuno clamorosa come quell di Robben…) ma non riusciva a segnare. Almeno, per una partita, dopo i soliti 15 passaggi la palla arrivava vicino alla porta…

I tempi supplementari vedevano i tifosi col cuore in gola. Io, reduce dall’esperienza del 2006, mi aspettavo le due squadre di smettere di giocare e pensare solo ai rigori. E invece (ancora una volta) sono stato smentito. 30 minuti di ping pong da un’area all’altra, cercando il goal prima dei 120 minuti. Goal trovato da Iniesta, anche se nell’azione precedente l’arbitro Webb non si accorgeva di un calcio d’angolo per l’Olanda, purtropppo notato dallo stadio intero…

Some action
Inizia la partita

Iniesta scores! A country celebrates
Dopo 120 minuti, segna Iniesta

E cosi’, con la Spagna capace di vincere il quarto incontro di fila per 1-0 (manco l’Italia…) era tempo per i festeggiamenti in campo, e la delusione dei tifosi olandesi, che lasciavamo lo stadio fischiando contro l’arbitro prima della consegna della coppa.

Noi siamo rimasti fino alla fine. Dopotutto vedere alzare una coppa del mondo non e’ una faccenda da poco. E infatti, una volta che Casillas ha alzato la coppa, e’ iniziata la vesta anche sugli spalti, che ha coinvolto bene o male tutti. I tifosi sudafricani che tifavano Olanda avevano deciso di godersi il momento mentre i tifosi spagnoli… beh, potete immaginare, visto che 4 anni fa molti di noi abbiamo provato la stessa emozione.

Spain are world champions
La Spagna festeggia

Time to lift the cup for Casillas
Casillas alza la coppa

Camminando verso la navetta, per la prima volta mi sono reso conto che era davvero finita. Anni di attesa e preparativi, e poi questo. Certo, l’Italia ha deluso e il calcio mostrato non e’ stato fantastico (tranne qualche eccezione), ma l’atmosfera, davvero unica, fuori e dentro gli stadi, mi hanno reso fiero di potere dire in futuro: in quel 2010, io c’ero.

Bye bye South Africa, welcome Brazil
2014: buona fortuna Brasile

Tutte le foto della finale le trovate qui

Verso l’ultima vuvuzela

Lo dico sinceramente: speravo in una finale tra Olanda e Germania.

E invece domenica andro’ a Soccer City (in compagnia di Lindsey o, se lei non vuole passare una giornata intera allo stadio come vorrei io, in compagnia di chi mi paga di piu’ il biglietto) a vedermi Olanda contro Spagna.

E’ stato un strano mondiale.

Doveva essere la volta dell’Africa, e invece hanno quasi tutte clamorosamente toppato, non qualificandosi nemmeno per il secondo turno. Una volta uscito il Sudafrica, i tifosi locali hanno cominciato a tifare Ghana (chiamati qui Baghana Baghana, visti come unici superstiti di quella competizione che per la prima volta a visto i padroni di casa, i Bafana Bafana, uscire prima degli scontri diretti).

Una volta uscito il Ghana grazie ad un rigore fallito miseramente all’ultimo secondo (neanche in Holly e Benji), tutti hanno cominciato a tifare Olanda, partita in sordina ed arrivando in finale vincendo ogni singola partita. Di colpo tutti gli Afrikaneers, solitamente intenti a guardare il rugby e disprezzare il calcio, hanno ritrovato passione nelle loro origini.

Doveva essere la volta del Sudamerica, passato con quattro squadre ai quarti. E invece sono quasi tutte uscite miseramente, chi male (Brasile), chi peggio (Argentina).

Ancora una volta, come nel 2006, e’ la volta dell’Europa. Stavolta invece di avere Francia e Italia, umiliate da squadrette, abbiamo Olanda e Spagna, e, per la prima volta dal 1998, un nuova nazione sara’ campione del mondo.

Per una volta la storia ha contato zero nella competizione. Per la prima volta dal 1930 nessuna delle 4 superpotenze (Italia, Argentina, Germania e Brasile) e’ arrivata in finale.
L’Italia, dopo avere fatto storia nel 2009, perdendo per la prima volta con una squadra africana (l’Egitto), e’ riuscita a riscrivere i libri di storia non vincendo neppure una partita e giocando solo 20 minuti su 270. 20 minuti che tra l’altro io mi sono perso uscendo incazzato dallo stadio.

Cosi’ avremo una finale tra una delle squadre piu’ noiose del pianeta (la Spagna), che sfrutta un gioco masturbatorio fatto di inutili passaggi sperando che prima o poi qualcuno (Villa) segna, e una squadra di 8 operai che deve ringraziare quei 3 li’ davanti (Sneijder, Robben e qualche volta Van Persie) se riescono a produrre goal.

Stranissima finale. Sono comunque sicuro che, per la prima volta dal 14 Giugno, riusciro’ finalmente a godermi una partita di calcio allo stadio. Se fosse possible vorrei che entrambe le squadre perdessero, ma visto che devo scegliere qualcuno ho deciso di tifare Olanda…. (ma andro’ comunque allo stadio con la maglietta dell’Italia)

Tutto quello che mi rimane dei mondiali

Con l’Italia fuori, Ian tornato in America, il Sudafrica a casa […], l’Inghilterra umiliata, la Francia non pervenuta, invidio tutti quei tifosi che ancora se la godono.

E io rimango con due di questi:

World cup tickets

(che saranno presto venduti, come i restanti biglietti nelle mie mani).

Due di questi:

World cup tickets

(l’unica partita che andro’ a vedere, giusto per dire io c’ero)

E, nei negozi, questo:

On sale!

Cara Italia

Sono appena uscito dal lutto e questo e’ tutto quello che ho da scrivere prima di tornare ai soliti aggiornamenti settimanali:

Cara Italia (o almeno quella privilegiata elite che veste di azzurro, viene strapagata e ci rappresenta dal quel 15 Maggio del 1910, quando battemmo la Francia 6-2 nel match inaugurale) non ti scrivo mai e la maggior parte delle volte la nostra relazione e’ protetta da una televisione che ci evita il diretto contatto, ma non lo scambio di emozioni, quasi come un goldone catodico.

Mi hai fatto piangere nel 1990, con quei rigori maledetti a Napoli, casa di Maradona. Avevo 13 anni e pensavo che, giocando in casa con siciliano in forma, avremmo vinto i mondiali. Mi hai fatto ancora piangere nel 1994. Come? Ancora con quei rigori. Stavolta in televisione ti ho visto piangere pure io, nella forma di quel numero 6 con la faccia da cinquantenne sulle spalle di un allenatore pelato. Quel numero 6 che per anni ho semplicemente chiamato "il capitano" quando indossava una maglia a strisce verticali rossonere.

Sinceramente poi, anche quando il capitano era un reduce del 1982 (scusa Italia, ero troppo piccolo per ricordarmi le feste), non mi interessava che colori indossava da Settembre a Giugno. Nero e azzurro, bianco e nero, blucerchiato, giallo e rosso. Poco importava. Alla fine, una volta indossata quella maglia azzurra, erano tutti uguali per me.

Dove’ero? Ah, il 1998. Perdere (ai rigori) coi padroni di casa non mi aveva ridotto in lacrime (ero gia’ grandicello allora) ma mi aveva provocato un po’ di rabbia svanita una settimana dopo. Dopotutto, essere sconfitti dai futuri campioni del mondo, nonostante, essendo vicini di casa, nessuno poteva sopportarli, non mi aveva gettato nello sconforto.

In quei strani mondiali dall’altra parte del mondo, nel 2002, mi ero ridotto a bere birra a Londra (mi ero trasferito nel frattempo) e condividere lo sconforto dell’eliminazione, ancora dai padroni di casa, con altri emigrati italiani e poi con gli inglesi, eliminati da una punizione da 40 metri di un calciatore brasiliano che mi ricorda Ciuchino di Shrek (che sarebbe poi finito a indossare da Settembre a Giugno i miei colori, ma questa e’ un’altra storia).

Il 2006 fu il nostro anno magico. Campioni del mondo (ai rigori! Contro gli odiati vicini di casa! Pensa un po’) e grande festa a Londra. Avevo sempre invidiato la generazione di mio padre, capace di gustarsi una vittoria mondiale. Mi sentivo quasi come un inglese, i cui ricordi di vittorie mondiali si fermano a cronache via radio o immagini in bianco e nero.
Un po’ come quella squadra nerazzurra, che pero’ ultimamente e’ riuscita a vincere, mostrandoti anche come ci si difende.
Peccato che, nonostante avesse sul petto uno scudetto con i colori della bandiera che ti rappresenta, tu non hai potuto prenderne neanche uno di giocatore, visto che sotto quei colori nero e azzurri i loro cuori avevano colori lontano dal verde, bianco e rosso (e azzurro).

Quando avevo saputo (nel 2004) che i prossimi mondiali si sarebbero svolti in Sudafrica, ero un po’ timoroso. Non sapevo niente di quella nazione, tranne qualche notizia su Mandela e poco altro. Di campioni dal Sudafrica ne erano usciti pochi (o nessuno), e viaggiare li’ per i soliti tifosi che ti seguono dovunque (anche in Giappone e Sud Corea), sarebbe stato davvero costoso. Senza contare che, se le lezioni di geografia alle medie non si sbagliavano, li’ sarebbe stato inverno.

Non mi sarei mai aspettato di trovarmi invece a vivere in quella lontana (e strana) nazione. Un incontro casuale a Londra, una relazione di 3 anni mantenuta in un modo o nell’altro, e poi via verso il continente nero nel 2007. 3 anni per prepararmi. TRE. Con il vantaggio di potermi godere quel torneo amichevole che schierava alcune tra le piu’ forti nazioni del mondo, compresa te, cara Italia.

La debacle del 2008, ai rigori contro i futuri campioni d’Europa, non mi preoccupava piu’ di tanto. Tanto l’anno dopo ti avrei rivisto giocare in un altro torneo, e stavolta, finalmente, dal vivo!

Non piu’ maxischermi o tubi catodici a separarci. Non piu’ 5-6 amici ma un intero stadio a cantare l’inno nazionale, tutti in piedi con la bandiera in mano. Ero pronto, e in quella prima partita non mi avevi deluso. 3-1 agli Stati Uniti e gioco a tratti spettacolare. Era il 15 Giugno 2009. L’ultima volta che ti ho visto vincere, piu’ di un anno fa.

Da allora, cara Italia, mi hai dato solo tremende delusioni, la maggior parte delle quali storiche. La prima sconfitta di sempre con una squadra africana, la peggiore batosta di sempre con il Brasile (almeno nel 1970 avevi segnato un goal) e l’eliminazione al primo turno. Qui tutti mi chievedano cosa era successo, e io ti difendevo. Dicevo che non avevi trattato il torneo seriamente, che la squadra era mezza nuova, che stavi sperimentando. Ti difendevo e andavo allo stadio pochi giorni dopo, ancora in piedi a cantare Fratelli d’Italia circondato da Sudafricani che non capivano, e ti difendevo anche dopo umilianti prestazioni come quelle a Ellis Park.

Ti difendevo perche’ pensavo di conoscerti. A differenza del Brasile o dell’Argentina, non ho mai aspettato prestazioni spettacolari da te. Tu eri sempre stata combattiva, mai capace di arrendersi. Magari ogni tanto ti affidavi a qualcuno che aveva piedi brasiliani sotto quella maglia azzurra (mi ricordo un tale Divin Codino, eroe fino all’ultimo rigore 16 anni fa), ma il resto della squadra era pieno di combattenti. Quante volte avevi un piedi fuori e riuscivi a dare gioia a 60 milioni di italiani (piu’ vagonate di milioni all’estero) all’ultimo minuto.

Ti difendevo. Ti amavo e ti amo ancora adesso, ma mi sento tradito.

Sei venuta qui in Sudafrica a difendere un titolo vinto in notti magiche a Berlino. Non eri amata in patria per lo strano miscuglio di giocatori un po’ troppo soldatini e con poco carattere. I tuoi eroi o sono scomparsi in questi ultimi anni, oppure sono semplicemente invecchiati. Ma non importa. Il girone era facile. Una squadra di narcotrafficanti, una squadra di giocatori di rugby che nel tempo libero facevano gli idraulici, e una squadra di una nazione che quando tu avevi il mondiale in casa non era neppure indipendente, ed e’ famosa piu’ per la qualita’ delle donne che per la qualita’ del calcio.

Ho preso Curtis e qui da Johannesburg mi sono sparato 1393km di aereo per andare a vederti. Un intero weekend passato in una bellissima citta’ che si affaccia sull’oceano, in uno stadio nuovissimo. Sabato e Domenica ho mangiato, bevuto e mi sono preparato, ero teso, ma fiducioso. Nello stadio di Green Point ho obbligato Curtis, irlandese, a vestirsi di azzurro per cantare l’inno. Le vuvuzela nemmeno ci disturbavano. E poi? Hai preso un goal ridicolo (un leit motiv di questo 2010) e sei riuscita a segnare grazie ad una papera del portiere.

Capita, era l’esordio. Nervosismo alle stelle e aspettative troppo alte. Cosi’ giovedi’ sono andato a prendere Ian, il mio amico dei tempi londinesi, arrivato direttamente da New York (New York! Capisci?) per vedere la sua beneamata nazionale italiana, lui che proviene da una famiglia che ti ha lasciato all’inizio del secolo scorso.

Una domenica ho guidato 358km (piu’ altri 358 al ritorno) per andare dalla parte opposta, a Nelspruit, in un altro stadio nuovo e bellissimo. Stavolta le vuvuzela erano piu’ antipatiche, ma quello che vedevo in campo era ancora peggio. Paura, incapacita’ di passare, mancanza di palle (ma chi sei, la Francia?). Mai 358km di macchina furono cosi’ tristi.

E pensare che, anni fa, mi sparavo volentieri centinaia di chilometri anche solo per passare un po’ di tempo con i miei amici veneti. Tornavo stanco, ubriaco, ma mai deluso. Sai, cara Italia, la delusione raddoppia la distanza e triplica la stanchezza.

Mi sono fatto coraggio. Ian e’ qui fino a settimana prossima, per gli ottavi, mi ero detto. Avevo i biglietti pronti. Bastava giocare l’ultima partita e semplicemente pareggiare o vincere. Classica situazione italiana.

Cosi’, stavolta con tutta la famiglia di mia moglie (sai, avevo preso i biglietti per tutti, per festeggiare con te!), siamo andati in un bellissimo Sabato pomeriggio ad Ellis Park. Per tifare, cantere l’innno con Ian, urlare, gioire e piangere di gioia.

E tu cara Italia cosa fai? Te lo dico io. HAI FATTO CAGARE.

Non ti sei guardata intorno negli occhi di migliaia di persone che hanno speso i risparmi di un anno economicamente pessimo per di venire a vederti?
In quei bambini che volevano una storia da raccontare, come la mia nel 1990, quando rubavo le nutelle alla Coop per poi strappare il punto gigante (che ne valeva 9 piccoli) per il concorso di Vinci Campione e vincere una maglia originale delle squadre dei mondiali?

Non hai pensato a quelli emigrati che hanno atteso per anni di poterti vedere dal vivo? Non hai pensato a quelli che si sono sposati e sono rimasti qui in Sudafrica vantandosi della nostra coriacea nazionale e sperando in almeno un passaggio di turno in due tornei?

Sei stata egoista, mia cara nazionale. Ti sei isolata, ti sei fatto odiare in una maniera che non vedevo dai tempi dell’allenatore pelato, e hai alienato i tuoi tifosi.

Ian, arrivato dall’America, vuole ora ripartire perche’ del Sudafrica e delle sue vuvuzela ne ha abbastanza. La gioia e’ andata via, e, per la prima volta in vita mia, a 20 minuti dalla fine ho abbandonato la stadio, perdendomi i tuoi 2 goal (3 partite e giochi gli ultimi 15 minuti ? e gli altri 255?) e quello dell’umiliazione finale.

No, non sono imbarazzato di essere italiano. Non lo sarei mai. Sono quelli che indossavano la tua maglia azzurra che dovrebbero esserlo. Hanno ucciso gli ultimi residui di quella gioia che solo nazioni calcistiche (e sono poi cosi’ tante) hanno fin dalla nascita. Tifare, piangere, urlare, bestemmiare, abbracciarsi, festeggiare con meridionali o milanesi, ubriacarsi quando si vince, ubriacarsi quando si perde dopo una grande partita.

Hai ucciso il bambino dentro tutti quei 30enni e 40enni che ad ogni partita si pitturano la faccia e sono pronti a vivere un carnevale personale.

Mi hai fatto sentire francese. E, per me, e’ peggio di morire.

Foto dall’ultima partita:

Blowing for Italy [...]

L’ultima vuvuzela

Ian has a bad feeling about this...

Ian sapeva gia’ tutto prima

Entrance of the teams

Le squadre entrano in campo

Attacking Slovakia, too little too late

La Slovacchia attacca (ovviamente)

Depression kicks in

Depressione

Kill me with that Vuvuzela

Uccidetemi ora

Ah, le altre foto le trovate qui