Shara Pova!

Per festeggiare l’anno nuovo ebreo (Rosh Hashanah, uno scioglilingua) io e Lindsey siamo stati invitati da una delle sue ex-compagne di classe (Leatt, era venuta la nostro matrimonio in compagnia del marito JP) per celebrare in true jewish style il loro capodanno.

Come la nostra Pasqua, la data cambia sembra (e nessuno sa bene come calcolarla), e cosi’ ci siamo trovati di Lunedi’ sera a bere e mangiare come maiali (o come facoceri, visto che il maiale a quanto pare non e’ tenuto in grande considerazione. Chissa’ se mangiano cinghiali…)

Non ero mai stato ad una cena tradizionale ebrea, ma dopo 4 ore passate a mangiare circondato da personaggi usciti fuori da un film di Woody Allen (e quasi napoletani, a giudicare da amuleti scaccia sfortuna sfoggiati dai patriarchi della famiglia) devo dire che non e’ poi stato cosi’ male.

Inanzitutto il fatto che fossero ebrei e non musulmani mi ha consentito di rinfrescarmi al fornitissimo angolo bar dove praticamente era possibile creare qualsiasi cocktail (Long Island Iced Tea e Jack + Coca Cola compresi).
La mia serata era’ gia’ positiva.

Gia’ mezzo ubriaco (ero a stomaco vuoto e ho dovuto aspettare 30 minuti prima di mangiare), ci siamo sorbiti le usanze locali – ovvero accendere le candele e in generale spaccarsi la lingua ringraziando dio in quell’idioma assurdo che e’ l’ebreo – per poi finalmente passare al cibo, attaccando una tavola imbandita all’inverosimile.

Circondato da persone incuriosite dal mio accento (identificato al volo come italiano con vaghi rimasugli polacchi, ‘sti ebrei sono avanti) ho iniziato ad augurare a tutti il buon anno con quel "shana tova" trovato su wikipedia un’ora prima. Peccato che la mia lingua, pesantemente condizionata da un whisky dubbio (che sapeva di grappa), sia riuscita a pronunciare soltanto Sharapova, scatenando l’ilarita’ dei compari di tavolo.

Il cibo invece?
La mancanza di salsiccie, pancetta, salame e qualsiasi prodotto associato al caro porco era una lacuna non da poco, ma la quantita’ di alternative era incredibile.

Il problema? A quanto pare la combinazione dolce/salata e’ un must, e infatti il pane era solo con l’uvetta (provate voi a masticarlo mentre in bocca avete pesce), e i crackers per il pate’ erano conditi con lo zucchero.

Il pollo? In salsa di albicocca. La verdura? Condita con la cannella.

La bistecca? Ottima, ma dopo aver provato strane combinazioni di sapori la mia lingua probabilmente era in coma.

Merita una nota il vino rigorosamente Kosher (nella foto). Rosso, 11 gradi e dolcissimo, praticamente un vin santo. Servito in shots invece che in normali bicchieri.

Original jewish wine

A quanto pare il dio della Torah vietera’ anche il porco, pero’ ad un bicchierino non dira’ mai di no…

6 mesi

6 months

Lindsey (chiamarla "mia moglie" suona ancora strano) mi conosce benissimo e sa che una medaglia non la rifiuto mai.
E cosi’ siamo arrivati a 6 mesi di matrimonio. Intensi. Complicati. Incasinati.

Ne e’ valsa la pena.

Faticando verso la finale

Il 24 qui e’ stata festa nazionale (Heritage day o qualcosa del genere), e a quanto pare sono rassegnato a soffrire in quella data. Basta guardare cos’era successo l’anno scorso

Con la finale di coppa posticipata all’11 di Ottobre (allo stadio dell’Universita’ di Johannesburg), la necessita’ di arrivare a quella data in forma mi ha portata ad iscrivermi (insieme alla famiglia di Lindsey) alla 10km locale, "La Piatta" (o Flat One).
Avevo accettato l’iscrizione giusto per tenermi in forma. 10km posso correrli con un tempo decente senza neppure allenarmi. Inoltre, con un nome cosi’ attraente, gia’ mi immaginavo una sgroppata lungo lo stradone…

Partenza ai soliti orari pazzeschi sudafricani (6 di mattina, perche’ poi fa troppo caldo, con relativa sveglia alle 5) e via lungo lo stradone, gia’ trafficato, per ben 1 chilometro. Poi, curva a sinistra.

Poi salita. Salita. Salita. Discesa. Salita. Salita. Salita. Discesa ripida. Salita. Gran premio della montagna. Salita. Discesa lunghissima. Salita. Salita. Altro gran premio della montagna. Discesa finale (che ti uccide).

At the Flat One race

foto fatta un’ora dopo l’arrivo, tanto per avere un ricordo (montagne affrontate sullo sfondo)

Il tempo finale e’ stato decente (48 minuti e 56 secondi, sotto i 50 minuti che considero il minimo sufficiente), ma,  lungo il percorso, insieme alla solita acqua in sacchettini di plastica, continuavano a fornirci coca cola, con un incredibile numero di rutti successivo alla stazione di beveraggio, e mal di pancia finale. Mai visto prima.

Immagino che la maggior parte dei corridori, visto che avevano sborsato la bellezza di 3.5 euro per correre, in puro stile sudafricano (soprattutto se neri) si saranno fermati per bere il piu’ possibile e recuperare sui costi, vista anche l’assenza di qualsiasi medaglia all’arrivo (una grossa delusione).

Il resto della truppa? Jill e David hanno finito i 10km in un’ora e dieci, Lindsey e sua madre intorno all’ora e mezzo.
Io ero da tempo seduto sull’erba, sotto il sole, a rilassarmi e pensare che, tutto sommato, giornate cosi’ sono fatte per stare fuori. Poi, tornato a casa, ho ovviamente dormito fino alle 12…

Il problema del Sudafrica…

Bye bye Mbeki…. e’ quello di essere governati da neri (comunisti) ancora in cerca di vendetta.

Basta guardare quello che e’ successo ieri. Aspettavo il solito episodio di How I met your mother (fantastico programma, molto simile a quel Coupling che adoravo in UK), e di colpo le trasmissioni sui canali nazionali vengono interrotte per un discorso del presidente Mbeki.
Discorso durato ben 20 minuti: 10 per motivare il suo addio – a due mesi dalla fine del mandato – , 8 a giustificare l’operato dell’ANC e trovare scuse per i recenti scandali e 2 a dire “ciao” nelle 11 lingue nazionali.
Parole piu’ utilizzate: “1994” (l’anno della svolta sudafricana) e “Compagni” (ho gia’ detto che sono comunisti?)

L’ANC, il partito al potere, l’aveva messo al governo anni fa (dopotutto lui era il vice-Mandela nel primo governo), e l’ANC, il partito ancora al potere, ha deciso che si e’ rotto le palle, visto che da ormai un anno (o poco meno) si e’ schierato dietro al Vero Nero Africano, Zuma (di etnia Zulu, differente dall’etnia Xhosa di Mandela e Mbeki), un criminale che pero’ ha presa con quella parte di popolo che soffre quotidianamente, grazie a quel look da King Jaffe Joffer (il padre di Eddie Murphy nel Principe cerca Moglie) e i balli e le canzoni zulu con cui regolarmente intrattiene le folle.

Purtroppo l’ANC ha un grosso problema: non ha piu’ un nemico.
Le cose erano facili quando il nemico giurato era quello bianco, creatore dell’apartheid, ricco, europeo.
Lo stesso nemico che nel 1994 aveva deciso di lasciare il governo in mano alla popolazione locale, senza la solita guerra civile (cosi’ comune in tutte le altre nazioni africane), e rimanendo in zona per far funzionare un’economia che era la piu’ solida del continente.

Dopo i primi anni di luna di miele a fine anni 90 (vorrei vedere, con un Mandela praticamente santo e intoccabile), il governo Mbeki deve ancora mantenere le promesse fatte agli elettori neri (e analfabeti, e disperati) che finiscono per votarlo: case per tutti, soldi per tutti, acqua e medicine per tutti, Sky e abbonamento allo stadio per tutti.

Il problema e’ che dopo 14 anni, forse, in un altro paese, uno si stancherebbe anche di aspettare, e voterebbe per qualche altro partito. E invece il classico sudafricano nero (di qualsiasi etnia) vivacchia nell’attesa che il governo gli regali quello che spetta a lui e al suo popolo: una casa, soldi, una macchina etc..
Peccato che nell’attesa non faccia un cazzo per migliorare la sua posizione economica – tanto poi il governo ci pensera’ lui – e, quando chiamato a votare, riconosce solo i tre caratteri del partito al potere e il logo stalinista, non pensando che, ogni tanto, votare qualcosa’altro meno deludente potrebbe essere un alternativa.

Non so sincermente come l’economica sudafricana reagira’ (anche se il rand crolla, io sono piu’ ricco visto che vengo pagato in sterline!), ma prevedo una spaccatura in seno all’ANC, e, con un po’ di fortuna, la fine dell’egemonia di un partito che ha tradito le sue basi per arricchire illegalmente come non mai neri con molti meno scrupoli di qualsiasi dittatore bianco, e farsi barzellette di una democrazia che solo 10 anni fa era considerata un esempio per tutto il continente…

La vita dell’emigrato italiano (in una bolla temporale)

Incontrando italiani (soprattutto in Germania) duranti i viaggi polacchi verso la fine degli anni 80, mi chiedevo com’era possibile che, a distanza di anni, questi ancora ascoltavano Celentano, adoravano i Ricchi e Poveri (gia’ trash allora) e sognavano una reunion di Al Bano e Romina, magari in un mega concerto con Pupo.

Possibile che non avevano mai sentito parlare di Vasco, Zucchero, e la sola novita’ italiana arrivata in mittel europa era Boys boys boys di Sabrina Salerno? Negli anni 90 era lo stesso.
Fermi agli anni 60. Agli anni 70. Ai primi anni 80. Niente di nuovo nel jukebox, nessuna possibilita’ di parlare di musica, calcio (ma Rivera gioca ancora? Il Milan non era in serie B? Chi cazzo e’ Berlusconi? Liedholm allenatore, ma dai, dovevano vendere Baresi alla Roma!) oppure cartoni animati.

Vivevano in una bolla temporale, provocata da distanze che allora erano considerate temibili (Polonia? Nel blocco sovietico? 30 ore di file tra le frontiere tedesche? Ma sei pazzo?) e da viaggi piuttosto costosi.
La mancanza di internet, del cellulare, del satellite, di giornali non aiutavano di sicuro. Ai tempi mi sembravano alieni. Incontravo stranieri (in generale meta’ polacchi e meta’ qualcos’altro) che avevano amici italiani tutti spaghetti pizza e mandolino (e valigia di cartone).
Ok, la maggior parte degli emigrati era proveniente dal sud, ma possibile che rimanere aggiornati era cosi’ difficile?

Ora capisco tutto. Sono un emigrato, vivo all’estero, e per me l’Italia e’ ancora quella che ho lasciato.
Si, ho internet. Certo, chiamo i miei ogni settimana. Sicuro, torno in patria una due volte all’anno.
Ma alla fine quali sono gli ultimi aggiornamenti che controllo? I risultati di calcio (disponibili comunque su qualsiasi altro sito in lingua inglese, e pure sui giornali sudafricani…), quelli di altri sport in cui italiani riescono a distinguersi, e poco altro.

Vivo in una bolla temporale. I film ormai li guardo in lingua originale, mentre l’ultimo film italiano visto – tra l’altro a Londra – era stato Romanzo Criminale (che mi ha tolto la voglia di ascoltare la mia lingua madre calpestata in romano, tanto da leggere i sottotitoli per capire cosa veniva detto).

Politicamente conosco meglio la situazione a Londra, a Johannesburg (e pure in America) che non quella in Italia. Ok, c’e’ Berlusconi, ma non c’era anche negli anni 90? Possibile che tutti i nomi e le facce in parlamento siano le stesse di prima che me ne andassi? Ma non muoiono mai?

Non ho la minima idea di cosa succeda sulla televisione italiana. Mi accorgo di non capire un cazzo della maggior parte dei discorsi che inseriscono personaggi provenienti dal grande fratello (l’unico che mi ricordo e’ il primo, con Pietro Taricone), da amici, da striscia la notizia.

Dai uno sguardo alle canzoni italiane che ascolto su itunes. Articolo 31 dei primi tempi, quelli di Maria e Voglio una Lurida, Ligabue pre-2000, Neffa prima del turn gay con la mia signorina, Frankie Hi-NRG e, ovviamente, tutte le possibili sigle di cartoni animati.

E’ difficile spiegare l’importanza che hanno avuto sulla mia generazione. Ne parli con un londinese, che conosce Macross e Transformer ma non Ken il Guerriero, Mazinga o Holly e Benjy, e ottieni ben poco dallo scambio culturale. In Sudafrica, parlare di cartoni animati giapponesi e’ praticamente impossibile, a meno di trovare il fanatico (ce ne sono in ogni continente), ma che e’ piu’ collezionista che altro. Probabilmente avresti piu’ fortuna con un polacco, che ha vissuto l’invasione giapponese di riflesso, con cartoni importati illegalmente e doppiato con una sola voce.

Mancano i discorsi sul reggiseno di Lamu’, sull’albero genealogico estremamente complicato di Ken (Kaio? Raul? Chi cazzo e’ il fratello? Shin? Toki?), sull’importanza di Holliver Atton (e Bruce Harper) per chiunque abbia avuto 10 anni nella seconda meta’ degli anni 80, su quanto sia complicato inserire un campana di bronzo nel corpo di Jeeg.

Potrei andare avanti per ore, parlando dei robottoni o di tutti quei cartoni targati Bim Bum Bam, Uan e Bonolis – Creamy mon amour – ma sarei costretto a parlare con me stesso, a ricordarmi dei tempi passati o a provare ad intrattenere discorsi dietro ad una chat di messenger. Senza alcool. Che, come sanno tutti, non e’ mai lo stesso.

Poi torno in Italia e obbligo i miei amici ad entrare nella mia confortevole bolla temporale.
E si sa, la favola dei bei tempi di una volta funziona sempre.

D’altro canto, come si puo’ non avere nostalgia dei tempi in cui parole come mutuo, lavoro, tasse e pendolare erano solo fardelli che capitavano ai nostri genitori?
Noi dovevamo preoccuparci solo di leggere Topolino il mercoledi’, il Giornalino la Domenica (venduto dalle suore col sovrapprezzo, bastarde), la gazzetta – quando era decente – se il papa’ ce la prestava.
E le uniche cose che dovevamo ricordarci erano gli orari di inizio dei cartoni, il pomeriggio dopo scuola e la sera prima delle otto, e le partite all’oratorio fino a tarda sera. E di portare un pallone, altrimenti non si giocava mai.