Quelli che l’AC Canegrate

Ultimamente sono immerso in un mondo di ricordi calcistici.

Immagino che, con la stagione sportiva in attesa di ricominciare a gennaio, il cricket a occupare il palinsesto e il Milan a giocare di giovedi’ sera, questo e’ l’unico modo per non staccare dal calcio.

Dopo la recente invasione di facebook di ex-compagni di calcio degli anni italiani (leggi: dal 1987 fino al 2000, prima all’Oratorio San Luigi poi all’AC Canegrate), arrivano altre notizie e contatti dalla terra natia.

Il Calcio Canegrate – a quanto pare questo il nuovo nome della squadra locale – mi contatta tramite Zanzottera, da anni uno di quei personaggi dietro le quinte delle squadre di calcio senza i quali le societa’ avrebbero problemi ad essere gestite.

La societa’ ha un nuovo sito (fatto davvero bene, del tipo che piacciono a me, informativo al massimo che sostituisce l’osceno sito che avevo visto l’ultima volta 5 anni fa) e tramite strani giri ha trovato il mio nome (su internet) e le mie ultime prodezze sportive.

Cosi’ oggi scopro che proprio su quel sito hanno scritto un articolo su di me.
Un po’ esagerata la collocazione del Parsons Green (non prima divisione inglese, quello sarebbe la serie B, ma prima divisione regionale, 5-6 serie sotto la premiership…) pero’ il resto non fa che rendermi piacere e soddisfare il mio ego (ego che mi spinge a giocare a calcio e riuscire a migliorare dopo la soglia dei 30 anni).

Porto ancora su un foglio di carta del secolo scorso i goal segnati in 5 consecutivi campionati, dal 1989 al 1994: 27, 21, 26, 43, 36 prima che mi spostassero a centrocampo, dove gioco tuttora.
I goal sono diventati merce rara ma finalmente sono riuscito a vincere qualcosa.

Ormai finiro’ quasi sicuramente la carriera all’estero, sperando di ritirarmi a 40 anni. Pero’ per la partita d’addio voglio gia’ prenotare il Comunale di Canegrate (chiamato adesso Sandro Pertini) e fare un’ultimo partitone con tutte quelle persone che mi hanno accompagnato in questi lunghissimi anni… (Beppe, rimettiti in forma, mi serve un’ala sinistra).

Articolo sul sito del Calcio Canegrate

AC Canegrate Juniores(1996)

La vita dell’emigrato italiano (in una bolla temporale)

Incontrando italiani (soprattutto in Germania) duranti i viaggi polacchi verso la fine degli anni 80, mi chiedevo com’era possibile che, a distanza di anni, questi ancora ascoltavano Celentano, adoravano i Ricchi e Poveri (gia’ trash allora) e sognavano una reunion di Al Bano e Romina, magari in un mega concerto con Pupo.

Possibile che non avevano mai sentito parlare di Vasco, Zucchero, e la sola novita’ italiana arrivata in mittel europa era Boys boys boys di Sabrina Salerno? Negli anni 90 era lo stesso.
Fermi agli anni 60. Agli anni 70. Ai primi anni 80. Niente di nuovo nel jukebox, nessuna possibilita’ di parlare di musica, calcio (ma Rivera gioca ancora? Il Milan non era in serie B? Chi cazzo e’ Berlusconi? Liedholm allenatore, ma dai, dovevano vendere Baresi alla Roma!) oppure cartoni animati.

Vivevano in una bolla temporale, provocata da distanze che allora erano considerate temibili (Polonia? Nel blocco sovietico? 30 ore di file tra le frontiere tedesche? Ma sei pazzo?) e da viaggi piuttosto costosi.
La mancanza di internet, del cellulare, del satellite, di giornali non aiutavano di sicuro. Ai tempi mi sembravano alieni. Incontravo stranieri (in generale meta’ polacchi e meta’ qualcos’altro) che avevano amici italiani tutti spaghetti pizza e mandolino (e valigia di cartone).
Ok, la maggior parte degli emigrati era proveniente dal sud, ma possibile che rimanere aggiornati era cosi’ difficile?

Ora capisco tutto. Sono un emigrato, vivo all’estero, e per me l’Italia e’ ancora quella che ho lasciato.
Si, ho internet. Certo, chiamo i miei ogni settimana. Sicuro, torno in patria una due volte all’anno.
Ma alla fine quali sono gli ultimi aggiornamenti che controllo? I risultati di calcio (disponibili comunque su qualsiasi altro sito in lingua inglese, e pure sui giornali sudafricani…), quelli di altri sport in cui italiani riescono a distinguersi, e poco altro.

Vivo in una bolla temporale. I film ormai li guardo in lingua originale, mentre l’ultimo film italiano visto – tra l’altro a Londra – era stato Romanzo Criminale (che mi ha tolto la voglia di ascoltare la mia lingua madre calpestata in romano, tanto da leggere i sottotitoli per capire cosa veniva detto).

Politicamente conosco meglio la situazione a Londra, a Johannesburg (e pure in America) che non quella in Italia. Ok, c’e’ Berlusconi, ma non c’era anche negli anni 90? Possibile che tutti i nomi e le facce in parlamento siano le stesse di prima che me ne andassi? Ma non muoiono mai?

Non ho la minima idea di cosa succeda sulla televisione italiana. Mi accorgo di non capire un cazzo della maggior parte dei discorsi che inseriscono personaggi provenienti dal grande fratello (l’unico che mi ricordo e’ il primo, con Pietro Taricone), da amici, da striscia la notizia.

Dai uno sguardo alle canzoni italiane che ascolto su itunes. Articolo 31 dei primi tempi, quelli di Maria e Voglio una Lurida, Ligabue pre-2000, Neffa prima del turn gay con la mia signorina, Frankie Hi-NRG e, ovviamente, tutte le possibili sigle di cartoni animati.

E’ difficile spiegare l’importanza che hanno avuto sulla mia generazione. Ne parli con un londinese, che conosce Macross e Transformer ma non Ken il Guerriero, Mazinga o Holly e Benjy, e ottieni ben poco dallo scambio culturale. In Sudafrica, parlare di cartoni animati giapponesi e’ praticamente impossibile, a meno di trovare il fanatico (ce ne sono in ogni continente), ma che e’ piu’ collezionista che altro. Probabilmente avresti piu’ fortuna con un polacco, che ha vissuto l’invasione giapponese di riflesso, con cartoni importati illegalmente e doppiato con una sola voce.

Mancano i discorsi sul reggiseno di Lamu’, sull’albero genealogico estremamente complicato di Ken (Kaio? Raul? Chi cazzo e’ il fratello? Shin? Toki?), sull’importanza di Holliver Atton (e Bruce Harper) per chiunque abbia avuto 10 anni nella seconda meta’ degli anni 80, su quanto sia complicato inserire un campana di bronzo nel corpo di Jeeg.

Potrei andare avanti per ore, parlando dei robottoni o di tutti quei cartoni targati Bim Bum Bam, Uan e Bonolis – Creamy mon amour – ma sarei costretto a parlare con me stesso, a ricordarmi dei tempi passati o a provare ad intrattenere discorsi dietro ad una chat di messenger. Senza alcool. Che, come sanno tutti, non e’ mai lo stesso.

Poi torno in Italia e obbligo i miei amici ad entrare nella mia confortevole bolla temporale.
E si sa, la favola dei bei tempi di una volta funziona sempre.

D’altro canto, come si puo’ non avere nostalgia dei tempi in cui parole come mutuo, lavoro, tasse e pendolare erano solo fardelli che capitavano ai nostri genitori?
Noi dovevamo preoccuparci solo di leggere Topolino il mercoledi’, il Giornalino la Domenica (venduto dalle suore col sovrapprezzo, bastarde), la gazzetta – quando era decente – se il papa’ ce la prestava.
E le uniche cose che dovevamo ricordarci erano gli orari di inizio dei cartoni, il pomeriggio dopo scuola e la sera prima delle otto, e le partite all’oratorio fino a tarda sera. E di portare un pallone, altrimenti non si giocava mai.

45 metri quadri, 6 anni

E’ vero,  da ormai piu’ di un anno ho lasciato lo storico appartamento in Wandsworth Bridge Road che praticamente tutti quelli che sono venuti a trovarmi a Londra conoscono.
Dopo che Rob aveva lasciato nell’Aprile del 2007, Anna lo aveva sostituito e avevo vissuto insieme a lei i miei ultimi due mesi a Londra.

Con Anna ancora li’, non avevo mai considerato definitivamente il buco di 45 metri quadri non piu’ mio. Dopotutto c’erano ancora qualche paio di mutande  di emergenza, calzini, due o tre maglietta, le mia cinture di kickboxing (tranne quella nera, qui con me in Sudafrica), e un sacco di libri e dvd che non mi ero portato dietro quando avevo lasciato l’appartamento. Senza contare le chiavi di scorta, sempre qui con me, e il fatto che nei miei due ultimi viaggi londinesi avevo passato i miei giorni li’ dentro.

Pensavo, egoisticamente, che Anna rimanesse li’ per sempre, anche se negli ultimi mesi si era trasferita a Monaco e ormai passava solo qualche giorno li.
Invece, al suo ultimo rientro, il padrone di casa (e del ristorante sotto), ha deciso di aumentare l’affitto (tenuto agli stessi prezzi del 2001 grazie al fatto che praticamente ai tempi rimisi tutto a posto da solo) probabilmente nella speranza di riuscire a convincere Anna ad andersene e riempirlo di camerieri e cuochi e guadagnare quel centinaio di sterline in piu’.
Cosi’ Anna ha deciso di lasciar perdere, visto che con l’aumento non avrebbe avuto senso mantenere un posto per usarlo solo 4-5 giorni al mese.

Me lo ha detto via skype, e ci sono rimasto di sasso. Consideravo normale l’idea di tornare a Londra per una o due settimane e stare a "casa". Invece non sara’ piu’ cosi’.

Con un po’ di tristezza, e per celebrare quei 6 anni passati li’ dentro, ho caricato una galleria su flickr con le foto e le facce che ho trovate sul computer di tutti quelli che sono passati a trovarmi, per visitare Londra o bere e mangiare ai soliti posti (TGI Friday, GBK, Pagliaccio, Wagamana e vari pub e posti lerci…)

E tu, caro lettore, se mai sei venuto a casa mia, stasera esci, vai al bar, e scolati un drink alla salute di quel fantastico appartamento!

Home sweet homeVincentMax and EmaTaking Rob to the shopsFIghting with Rob, Jedi StyleRob and EricA young MeraOlgaMaxMeraMarco, longest stay everOlaIwona and Ola (and Olaf)Olga and ManuelaTwo SimonePaoloAgata and MartaChristophOlgaCristinaElenaLucaOlga and DadGualtieroIan, roman styleOlga and FrancescaMauroMassiVava and BeppeVeruscaSoniaAlessiaGiambaOlgaDavidGiamba and ClaudiaGiamba, exotic dancerKingaAndyGiamba and ManuelaGiusiPaoloEric, coming back after 6 yearsLindseyAnna moving inAnna, last dayMy room, almost at the endTeo