Quelle telefonate che ti aspetti, ma che comunque non vorresti mai ricevere

Non riesco a dormire. Ho appena guardato l’orologio, sono le tre di notte.
Lindsey, di fianco a me, dorme ormai da ore. Io sono tornato dagli allenamenti, stanco e con ancora le vesciche sui talloni che non si sono completamente chiuse (correre sta diventando un’impresa, ma con la stagione agli sgoccioli e un primo posto in classifica continuo a soffrire).

Tento, come al solito, di concentrarmi su qualcosa per addormentarmi. Purtroppo Bruce, ai piedi del letto, continua a russare e in lontananza sento un allarme che continua a rompere il silenzio notturno. E’ uno di quei allarmi irregolari, che cambiano frequenza e suono ogni 4/5 secondi.
Impossibile addormentarsi.

Penso alla telefonata. Mio padre mi aveva avvertito: suo fratello, mio zio Tino, stava peggiorando.
Il dottore una o due settimane fa gli aveva dato forse un mese di vita. Purtroppo aveva sbagliato, e cosi’, in una sera di agosto, era morto, circondato da Davide e da sua moglie Graziella.

E cosi’, come ogni volta che muore qualcuno (quest’anno e’ gia’ capitato con mio nonno in maggio), torno malinconico e ripenso ad un passato che continua ad allontanarsi sempre di piu’.

Ripenso a quei Natali passati con tutta la famiglia, zii e nonni compresi, e quelle tavolate che sembravano immense per un bambino di 10 anni. Con il passare degli anni il numero di partecipanti e’ diminuito, fino ad arrivare ad un minimo storico l’anno scorso, quando pure io, dopo 30 e passa anni di partecipazione, rimasi in Sudafrica.

Ripenso a quando ero Bersagliere, nel 99 (ormai 10 anni fa). Difficile far capire il fascino della divisa, soprattutto di quella piumata, a persone che non hanno sangue militare in famiglia.

Mio nonno era bersagliere durante la prima guerra mondiale, il fratello piu’ vecchio di mio padre era bersagliere 20 anni piu’ tardi.
E ora toccava a me. Tornavo a casa e dopo avere passato anni a cazzeggiare, finalmente avevo trovato qualcosa che mi piaceva fare (la scelta di emigrare nacque proprio mentre ero nell’esercito). Mio cugino Davide ancora studiava, e suo padre, ogni volta che mi vedeva con quella divisa – quando tornavo in licenza – generosamente mi donava 50.000 lire che ai tempi mi bastavano per un mese.  Non ha mai saputo quante pizze e film mi ha pagato!

Qualche anno piu’ tardi Davide diventava Alpino, si laureava (il primo maschio della famiglia, tutte le femmine di erano laureate prima), e tornava a fare carriera nell’esercito, per la gioia di suo padre, mai cosi’ fiero di lui (e con la nascita di Tommaso, il figlio di Simona e Marco, e il suo primo nipote, credo che la sua vita fosse piena di gioie).

Ripenso a quella visita lampo in Italia il mese scorso, e quell’ultimo barbecue a casa di mio padre.

Ripenso a quella telefonata tre settimane piu’ tardi, l’ultima volta che parlai con lui. Come tutti i maschi nella nostra famiglia, le nostre conversazioni telefoniche di solito erano corte, ma quella volta si era soffermato per parlarmi del futuro, di Lindsey, di mio padre. Sembrava una telefonata d’addio, ma non potevo saperlo allora.

Ora non c’e’ piu’. E la mia famiglia si riduce di un altro elemento.

E ripenso a quelle tavolate immense, e di come, col tempo, si sono ridotte.