Una questione di verbi

Con questo finisco la mini-serie di articoli dedicati alla fantastica finale vinta l’11 ottobre.

Con un po’ di ritardo anche il giornale locale ha deciso di glorificare l’avvenimento:

Panorama Cup Final

Potete leggere l’articolo (in inglese) cliccando sulla foto, flickr ha una versione piu’ grossa.

Vi basta leggere il terzo paragrafo: Olaf Olgiati snatched the ball in the midfield, and Mark poonan found Malcolm Dube in the area, who scored.

Tra tutti i verbi che potevano usare, snatch (A hasty catching or seizing) e’ sicuramente il piu’ originale. 

Mi fa sentire un incrocio tra un giocatore di Quidditch e Rino Gattuso.

Stroking the ego

Quando mi hanno dato l’invito mi sembrava un po’ strano: una cena finale di tutte le squadre di calcio?
Cravatta e pantaloni obbligatori? In Italia si andava in pizzeria, a Londra invece al pub.

Panorama FC Prize Giving

A quanto pare in Sudafrica ci tengono e cosi’, con mio padre (ancora qui in Sudafrica) e Lindsey in macchina, ci siamo tutti diretti verso la Serata di Gala del Panorama Football Club, tenuta all’interno dell’hall di un college locale, affittato per l’occasione (gli ospiti erano intorno ai 170-200, calciatori con moglie o ragazze o una lattina di birra come compagnia).

Alla fine, davanti ai miei compagni di calcio e svariate persone che giocano per altre squadra (giovanili, veterani etc…), eccomi chiamato sul palco, per ritirare il premio di migliore giocatore dell’anno della mia squadra!

La placca, con il cognome ovviamente sbagliato, potete vederla nelle foto (a quanto pare dovro’ ridarla indietro l’anno prossimo…) mentre la medaglietta decorativa sara’ l’unica cosa che potro’ tenermi…

Panorama FC Prize Giving

Panorama FC Prize Giving

Panorama FC Prize Giving

Con questo la stagione calcistica si conclude ufficialmente e tutti i chili persi negli ultimi 2-3 mesi verranno accumulati  in fretta grazie ai barbecue e agli alcolici settimanali.

I numeri finali? 2 goal (fantastici entrambi), man of the match nel 60% degli incontri giocati, 2 cartellini gialli su una media di 20 falli a partita – chiedere scusa e prendere prima il pallone aiuta un sacco, 2 volte capitano, una retrocessione evitata nelle ultime giornate, una coppa di lega vinta ai rigori e il premio di miglior giocatore.

Dopo non dite che non posso gasarmi.

Aria italiana

Quando vedo sul tavolo la Gazzetta dello Sport – nello strano formato tabloid e con la prima pagina colorata a cui non mi abituero’ mai – e Il Giorno (anche se di tre giorni prima), apro il frigo e vedo affettati dovunque, grana padano e gorgonzola, e noto che fuori, sul tavolo in giardino, qualcuno ha lasciato un paio di occhiali, una tazzina (ormai vuota) di caffe’ e un bicchiere (ormai vuoto) di grappa, so che mio padre e’ in giro.

E’ arrivato ieri sera, ha lavorato, messo a posto quello che poteva in una mattinata iniziata alle 6 (non posso piu’ dormire), e ora russa nella sua stanza, e lo sento fin dal mio ufficio.

Cucciola e Bruce mi stanno guardando per capire da dove viene quel rumore, ma li rassicuro in qualche modo.

Torno al computer e vedo l’invasione italiana di facebook e mi rendo conto che in pochi giorni mi sono rimesso in contatto con persone che “solo” 20-25 anni erano per me quasi tutto, compagni di scuola elementare o compagni di calcio canegratesi.

Mi rilasso, guardo il panozzo alla mia sinistra, con salame a grana grossa e una fetta di gorgonzola alta un puffo, e mi sento in italia. Quasi quasi chiamo Beppe e gli dico se vuole venire a giocare al volo all’Oratorio. Il pallone lo porto io, che quelli di plastica mi fanno schifo.

 

 

Calcio in sudafrica, verso il 2010

Provate a chiedere a qualche sudafricano (bianco) che squadra tifa, senza specificare lo sport.
Probabilmente la risposta sara’ Bulls, o Lions, o Cheetas, in base alla regione in cui vi trovate. Tutte squadre di rugby.
Un sudafricano di origina indiana (ce ne sono un sacco) vi rispondera’ lo stesso, anche se ogni tanto citera’ qualche oscura squadra locale di cricket, qui tifato soprattutto a livello squadra nazionale.

Per ottenere una risposta di stampo calcistico, dovrete chiedere a qualsiasi persona di pelle nera.
In quel caso finalmente usciranno fuori le squadre locali, tutte nere, tutte scarse, che giocano in stadi semivuoti (oppure pieni solo per meta’, ovviamente quella che fa da sfondo alle pessime regie locali).
Ajax Cape Town, Kaizer Chiefs, Mamelodi Sundowns etc…

Ora tornate dal bianco (possibilmente non afrikaaners / di origine olandese, quello ha soli il rugby in mente) e chiedete che squadra tifano. Questa volta specificate lo sport. La risposta? Manchester United, Liverpool, Arsenal e cosi’ via, tutte squadre di Premiership.
Conosce le formazioni di Champions League, sa chi e’ Gattuso e ha un’alta considerazione di Del Piero.

E’ un problema, quello della tv satellitare – una scelta praticamente obbligata se si vuole vedere qualcosa di decente.
Da un lato, il tifoso puo’ vedere gli stadi inglesi (e quelli italiani, e quelli spagnoli, e quelli portoghesi…), pieni, colorati, caldi.
Puo’ vedere partite di calcio giocate come si deve, con giocatori amati dovunque, con regie che usano piu’ di 3 telecamere. Dall’altra, ha il calcio locale, ripreso peggio della nostra C2 sui canali regionali.

La squadra nazionale? Nessuno la considera, a momenti neppure i neri, delusi dalle recenti prestazioni.

I Bafana bafana perdono? Chi se ne frega, almeno rugby e cricket hanno squadre decenti (guardacaso con un mix di bianchi e neri).
I tifosi sudafricani di calcio (neri) vogliono squadre nere. I poveri bianchi che ogni tanto fanno capolino nella nazionale vengono fischiati e se ne vanno in Europa a cercare considerazione, lasciando la nazionale al livello ridicolo attuale.

Eppure a livello dilettanti / semi-professionisti e’ vero il contrario.
I club (come quello in cui gioco io) sono organizzati bene e gestiti da persone di estrazione europea. Il numero di neri e’ ridotto ma, come nel mondo del lavoro, il numero di professionisti bianchi e’ prossimo allo zero, a meno che non siano importati dal brasile o altri stati sudamericani.

Le leghe dilettanti sopravvivono bene, sono pieni di passione e tifosi, e guarda caso gli unici problemi sono creati da squadre formate dai ghetti, spesso non in grado di offrire strutture adeguata (nonostante gli stanziamenti statali) o di pagare la seconda rata dell’iscrizione annuale.

Il 2010 sara’ probabilmente una festa . Il governo locale ha gia’ messo le mani avanti pero’, chiedendo ai sudafricani di adottare almeno un’altra squadra africana (ce ne saranno 6 mi sembra) nel caso che il Sudafrica vada fuori.
Personalmente spero che il Sudafrica si faccia onore e arrivi almeno agli ottavi.
La partecipazione dei tifosi locali e’ essenziale, guardate solo gli stadi com’erano spenti dopo che Austria e Svizzera non avevano passato neppure il primo turno negli europei di quest’estate. E ripensate al 2006 e ai tifosi tedeschi.
O tornate indietro al 1990. Questo e’ quello che voglio nei mondiali: notti magiche.

Quei lunghissimi 11 metri, sotto il sole sudafricano (Italia preparati per il 2010!)

Ok, ragazzi, fa caldo, avete giocato per due ore e siamo arrivati ai rigori. Qui e’ dove vinciamo. Chi tira? – sta chiedendo Charl, l’allenatore

Ci sono ancora 30 gradi, anche se il sole ha iniziato a scendere. I tifosi al seguito, in attesa dell’eccitante (per loro) lotteria dei rigori, stanno urlando cori che sinceramente non riesco a capire. So che Lindsey e la sua famiglia siedono nell’angolo lontano, ma non mi volto a salutarli.

The UJ stadium view from the stands

Ready to play

Penso a quando ho tirato l’ultimo rigore. Forse nel 96, o nel 97. Una vita fa. Di tutti i rigori tirati con la maglia dell’Oratorio o dell’AC Canegrate, ne ho sbagliato solo uno, parato da Refraschini un’amichevole (era il mio primo rigore tra l’altro). A livello minore, ho sbagliato il rigore nella finale di quello che era un torneo tenuto in alta considerazione, visto il numero di giocatori di calcio che passavano il pomeriggi li’: il torneo estivo dell’oratorio.
Me lo aveva parato ancora Refraschini, maledetto.

“I’ll take one”. Credo che la mia bocca si sia aperta prima ancora che potessi pensare. Nessuno vuole mai tirare un rigore in finale. Si vede nelle facce. Tutti sono a terra, boccheggiano, e si toccano i muscoli come se ora fossero cosi’ malandati da non riuscire a calciare un pallone verso la porta.

Altre 4 voci si uniscono alla mia. Poi piu’ nessuno. Non ci sono altri compagni che vogliono tirare il rigore. Siamo io, Mike, entrato nel secondo tempo, Stoj, il freddo bulgaro, Isaac, uno dei due neri nella nostra squadra e Dixon, anche lui entrato nel secondo tempo.

Capisco chi non vuole tirare. Se questa fosse la mia prima finale, non lo farei neppure io. Ma di finali ne ho perse cosi’ tante che sono semplicemente stufo. Olimpiade dell’alto milanese (un 1-4 con il comune di Arese), vari tornei con l’OSL e l’AC Canegrate, mentre a Londra mi sono sempre fermato prima delle semifinali.
Forse tra le vittorie dovrei contare quel torneo estivo a meta’ anni 90, vinto per 6-0 sotto un diluvio universale con nessuno a vederci. Era un torneo a 7 pero’, e non l’ho mai considerato (come il calcio a 5).

Guardo Charles, che, con il suo strano accento di Cape Town, mi dice che proprio non ha le forze per guardare i rigori. L’allenatore invece si avvicina e ordina a tutti di tenere la testa alta e non chiudere gli occhi nella sequenza che partira’ tra 5 minuti.

I giocatori in panchina, sostituiti nel secondo tempo, sono distrutti. Tra loro ci sono almeno 2 rigoristi, ma nessuno si aspettava di arrivare a questo punto.

La partita l’avevamo vinta, poi persa, in una successione di colpi di scena degno del miglior film sportivo americano.
2 ore prima entravamo nello stadio come underdogs, contro una squadra (Crusaders) arrivata molto piu’ in alto di noi nella classifica e che ci ha aveva battuto due volte, per 3-1 e 4-2.

Noi in una settimana avevamo perso il mio compagno di centrocampo (Wayne, per motivi personali) e la nostra ala destra (Tshibi, impegnato in una finale di cricket con la scuola, obbligato ad andarci, stranezze locali).

Eppure in quei primi 45 minuti, sotto un sole impietoso, avevamo capito due cose: 1) potevamo vincere 2) la partita non sarebbe terminata con 22 giocatori in campo.
Il possesso di palla era nostro per la maggior parte del tempo, e l’arbitro aveva deciso di sanzionare qualsiasi intervento.
Passati in vantaggio al 20′ (rubo palla a centrocampo, lancio Mark che passa a Malcolm, il nostro nanetto nero, che segna), solo 5 minuti piu’ tardi avevo preso un cartellino giallo per un fallo che normalmente sarebbe stato sanzionato con un avvertimento.
Giocare per 100 minuti sapendo di non poter commettere tackle o falli tattici era stato un bel problema per me…

L’arbitro poi si era scatenato, espellendo per proteste uno di loro dopo altri 5 cartellini gialli negli ultimi 10 minuti. Molti esagerati.
Il secondo tempo era iniziato come il primo, noi in controllo e loro disperati a trovare il goal del pareggio, con un uomo in meno. Purtroppo era successo, e su uno svarione della difesa, dopo un’ora pareggiavano i conti.

La partita di colpo si trasformava. Una nostra traversa, su punizione, altri cartellini gialli (sarenno 3 per noi e 8 + 2 rossi per loro alla fine….) e solita violenza dettata dal nervosismo.

Nei supplementari per ben 29 minuti succedeva poco. Fino all’ultimo minuto, quando uno dei loro cadeva in area. L’arbitro prima lo ammoniva per simulazione (espellendolo nel processo) per poi consultarsi col guardalinee e assegnare il rigore.

La partita era persa in quel momento. Ultimo minuto, rigore, e loro segnano. Io guardavo verso la tribuna e probabilmente stavo iniziando a piangere. Loro stavano gia’ festeggiano quando l’arbitro fischia e indica ancora il dischetto!
A quanto pare uno dei loro era entrato in area e il rigore andava ripetuto.

Se siamo finiti ai rigori, potete immaginare cosa sia’ successo. Rob aveva parato il rigore, proprio mentre l’arbitro fischiava la fine dei supplementari.

Con nella mente le ultime 2 ore, iniziamo a camminare verso il cerchio del centrocampo. 9 loro e 9 noi (ai rigori il numero deve essere pari, cosi’ 2 dei nostri vengono lasciati ai margini del campo).

Veniamo separati ulteriormente. 5 di noi da una parte, 5 di loro, e i restanti 8 dietro, a guardare.

Decidono di tirare prima loro, e segnano. Tocca a Mike, che si avvicina al dischetto, e segna, anche se il portiere tocca.
Tocca ancora a loro, e stavolta sbagliano, con Rob che para un altro rigore.

Capisco che tocca a me.
Tento di ricordarmi quello che il mister ci ha detto (scegliete un angolo e non cambiate mai idea) e inizio a camminare, da solo, verso il dischetto.
Dietro di me, i miei compagni.
Sugli spalti, Lindsey con la famiglia al completo, e i tifosi al seguito, ormai ubriachi, che tentano di urlare il mio nome (sento “olaaaaaaf, olaaaaaaaaf” sulle note di volare oohhh).

Metto il pallone e mi accorgo che, tutto sommato, sono solo 11 metri e la porta sembra davvero larga. Continuo a guardare l’angolo alla sinistra del portiere (il piu’ facile se si tira di destro) e posiziono il mio corpo per una breve rincorsa.
L’arbitro fischia, incrocio il tiro, portiere da una parte, pallone 7 metri dall’altra.
Sento l’urlo del pubblico, e urlo un “yes” sbattendo il pugno, per poi tornare dai miei compagni, al piccolo trotto.

Non e’ ancora finita. Tocca a loro. Ma sbagliano ancora! Rob para. E’ il turno di Stoj, che la infila in una posizione impossibile. Siamo 3-1 e se sbagliano vinciamo.

Il pallone tirato dal loro ultimo giocatore e’ ancora in orbita gravitazionale e io sto gia’ correndo, con tutti gli altri, verso Rob, che viene sommerso da una ventina di persone (incluso qualche tifoso che ha scavalcato le transenne).

Non mi sento cosi’ felice su un campo da calcio dal 2003, quando avevo vinto il campionato a Londra. Ma qui e’ diverso, qui e’ speciale. E’ una finale, Lindsey e’ venuta a vedermi e tra poco saliremo le gradinate per ritirare la medaglia e la coppa.

I momenti di gioia sono fuori di testa, ma dobbiamo applaudire gli avversari mentre salgono e ritirano la medaglia d’argento. Poi tocca a noi. Saliamo (non prima che io vada ad abbracciare Lindsey in tribuna), ritiriamo la medaglia, e il nostro capitano alza la coppa.

Me hugging our keeper

It's a medal, finally!

Time to lift the cup!

My winners medal

Poi, e’ tutto sfuocato. Mi ricordo litri di birra e vodka finiti nella coppa e bevuti sotto il sole, mezzinudi, senza fermarci mai. Mi ricordo l’uscita dalla stadio con mia moglie ad aspettarmi per portarmi a casa.

So che non le piace quando sono ubriaco, ma capisce, e continua a raccontarmi come la partita sia stata davvero lunga ma troppo emozionante per lei.

Dopo un po’ mi addormento in macchina, mi risveglio, e torno in coma.

Chiudo gli occhi e ripenso velocemente alla stagione, alla semifinale vinta con quel goal da 30 metri. Penso alle finali perse, alle lacrime da bambino, ma riesco a pensare solo una cosa: se Refraschini era qui, mi avrebbe parato quel rigore.

Poi richiudo gli occhi, e mi sveglio solo il giorno dopo, con la medaglia ancora al collo.