La vita dell’emigrato italiano (in una bolla temporale)

Incontrando italiani (soprattutto in Germania) duranti i viaggi polacchi verso la fine degli anni 80, mi chiedevo com’era possibile che, a distanza di anni, questi ancora ascoltavano Celentano, adoravano i Ricchi e Poveri (gia’ trash allora) e sognavano una reunion di Al Bano e Romina, magari in un mega concerto con Pupo.

Possibile che non avevano mai sentito parlare di Vasco, Zucchero, e la sola novita’ italiana arrivata in mittel europa era Boys boys boys di Sabrina Salerno? Negli anni 90 era lo stesso.
Fermi agli anni 60. Agli anni 70. Ai primi anni 80. Niente di nuovo nel jukebox, nessuna possibilita’ di parlare di musica, calcio (ma Rivera gioca ancora? Il Milan non era in serie B? Chi cazzo e’ Berlusconi? Liedholm allenatore, ma dai, dovevano vendere Baresi alla Roma!) oppure cartoni animati.

Vivevano in una bolla temporale, provocata da distanze che allora erano considerate temibili (Polonia? Nel blocco sovietico? 30 ore di file tra le frontiere tedesche? Ma sei pazzo?) e da viaggi piuttosto costosi.
La mancanza di internet, del cellulare, del satellite, di giornali non aiutavano di sicuro. Ai tempi mi sembravano alieni. Incontravo stranieri (in generale meta’ polacchi e meta’ qualcos’altro) che avevano amici italiani tutti spaghetti pizza e mandolino (e valigia di cartone).
Ok, la maggior parte degli emigrati era proveniente dal sud, ma possibile che rimanere aggiornati era cosi’ difficile?

Ora capisco tutto. Sono un emigrato, vivo all’estero, e per me l’Italia e’ ancora quella che ho lasciato.
Si, ho internet. Certo, chiamo i miei ogni settimana. Sicuro, torno in patria una due volte all’anno.
Ma alla fine quali sono gli ultimi aggiornamenti che controllo? I risultati di calcio (disponibili comunque su qualsiasi altro sito in lingua inglese, e pure sui giornali sudafricani…), quelli di altri sport in cui italiani riescono a distinguersi, e poco altro.

Vivo in una bolla temporale. I film ormai li guardo in lingua originale, mentre l’ultimo film italiano visto – tra l’altro a Londra – era stato Romanzo Criminale (che mi ha tolto la voglia di ascoltare la mia lingua madre calpestata in romano, tanto da leggere i sottotitoli per capire cosa veniva detto).

Politicamente conosco meglio la situazione a Londra, a Johannesburg (e pure in America) che non quella in Italia. Ok, c’e’ Berlusconi, ma non c’era anche negli anni 90? Possibile che tutti i nomi e le facce in parlamento siano le stesse di prima che me ne andassi? Ma non muoiono mai?

Non ho la minima idea di cosa succeda sulla televisione italiana. Mi accorgo di non capire un cazzo della maggior parte dei discorsi che inseriscono personaggi provenienti dal grande fratello (l’unico che mi ricordo e’ il primo, con Pietro Taricone), da amici, da striscia la notizia.

Dai uno sguardo alle canzoni italiane che ascolto su itunes. Articolo 31 dei primi tempi, quelli di Maria e Voglio una Lurida, Ligabue pre-2000, Neffa prima del turn gay con la mia signorina, Frankie Hi-NRG e, ovviamente, tutte le possibili sigle di cartoni animati.

E’ difficile spiegare l’importanza che hanno avuto sulla mia generazione. Ne parli con un londinese, che conosce Macross e Transformer ma non Ken il Guerriero, Mazinga o Holly e Benjy, e ottieni ben poco dallo scambio culturale. In Sudafrica, parlare di cartoni animati giapponesi e’ praticamente impossibile, a meno di trovare il fanatico (ce ne sono in ogni continente), ma che e’ piu’ collezionista che altro. Probabilmente avresti piu’ fortuna con un polacco, che ha vissuto l’invasione giapponese di riflesso, con cartoni importati illegalmente e doppiato con una sola voce.

Mancano i discorsi sul reggiseno di Lamu’, sull’albero genealogico estremamente complicato di Ken (Kaio? Raul? Chi cazzo e’ il fratello? Shin? Toki?), sull’importanza di Holliver Atton (e Bruce Harper) per chiunque abbia avuto 10 anni nella seconda meta’ degli anni 80, su quanto sia complicato inserire un campana di bronzo nel corpo di Jeeg.

Potrei andare avanti per ore, parlando dei robottoni o di tutti quei cartoni targati Bim Bum Bam, Uan e Bonolis – Creamy mon amour – ma sarei costretto a parlare con me stesso, a ricordarmi dei tempi passati o a provare ad intrattenere discorsi dietro ad una chat di messenger. Senza alcool. Che, come sanno tutti, non e’ mai lo stesso.

Poi torno in Italia e obbligo i miei amici ad entrare nella mia confortevole bolla temporale.
E si sa, la favola dei bei tempi di una volta funziona sempre.

D’altro canto, come si puo’ non avere nostalgia dei tempi in cui parole come mutuo, lavoro, tasse e pendolare erano solo fardelli che capitavano ai nostri genitori?
Noi dovevamo preoccuparci solo di leggere Topolino il mercoledi’, il Giornalino la Domenica (venduto dalle suore col sovrapprezzo, bastarde), la gazzetta – quando era decente – se il papa’ ce la prestava.
E le uniche cose che dovevamo ricordarci erano gli orari di inizio dei cartoni, il pomeriggio dopo scuola e la sera prima delle otto, e le partite all’oratorio fino a tarda sera. E di portare un pallone, altrimenti non si giocava mai.

2 Comments

  1. dice giusto beppe se vuoi Ricchi e Poveri abbiamo anche noi.e ascoltiamo con nostalgia .va be ma abbiamo certa eta'(secondo te!)mamusia

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  2. E già… E’ bello ricordare della nostra infanzia quando torni in Italia… La prox volta che vieni ti facciamo anche sentire sulla macchina del Lucio il CD dei Ricchi e Poveri…Fantastici!

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