Windhoek su Weltevreden Park

One day at the top of WeltevredenQuando m’incazzo, mi isolo, prendo e parto.
Con la stagione calcistica finita e la difficolta’ di trovare un club di arti marziali dove continuare a fare kickboxing (esiste un futuro dopo la cintura nera?) o trovare qualcosa di nuovo – cage fighting per esempio, le valvole di sfogo sono limitate.
Qui bevono in pochi, e tra quelli che vedo quotidianamente, non beve quasi nessuno.
Bere da solo per un po’ va bene ma non avere un pubblico pronto a ricevere le mille gemme frutto di una vita consumata, corsa e bevuta in giro per il mondo mi blocca dopo il terzo o quarto Jack Daniels, fortunatamente venduto anche qui.

One day at the top of WeltevredenOne day at the top of Weltevreden

Lunedi’ 24. Heritage day o qualcosa di simile. Come il 4 Luglio in USA, tutti organizzano barbecue all’aperto. Solitamente lo farebbero comunque, visto che nei weekend, con questo caldo e la coppa del mondo di Rugby, birra e salsicce bastano e avanzano per andare avanti per ore.

Sfortunatamente, mi sono incazzato. Inutile spiegarne il motivo.
Alle 11, sotto un solo vicino allo zenith, ho preso la bici, lo zaino con una bottiglia d’acqua, macchina fotografica, una lattina di birra locale, mappa ed elmetto, e sono partito. Inizialmente ho fatto qualche giro lungo il fiume, poi, indispettito dall’odore dei mille barbecue e dalla fame, mi sono guardato alla ricerca di qualche sfida e, in lontananza, ho visto la montagna che sovrasta la valle, con la torre dell’acqua in cima.
Da li’ e’ partita una scalata degno del miglior Pantani drogato, con un pubblico formato dai lavoratori occasionali neri che mi guardavano come fossi un alieno. Pochi usano la bici qui, i neri camminano, i bianchi guidano.

One day at the top of WeltevredenDopo 2 ore di fatica, mi sono fermato in uno spiazzo circondato da cactus, vicino alla vetta. Mi sono sdraiato e sono stato li’ a non fare niente, oltre che queste poche foto, per altre 2 ore.
Avrei voluto che qualcuno dei miei amici lasciati indietro fosse qui con me, a condividere 50cl di fresca Windhoek.
Probabilmente mio cugino Davide, amante di montagna e birra, sarebbe stato felice.

Peccato che ogni tanto mi rendo conto che sono davvero lontano.

I vantaggi della spesa

Coca Cola finalmente nel bottiglione di vetro!Fare la spesa nei supermercati locali presenta indubbi vantaggi.
Ovviamente il primo di questi e’ la pura potenza della mia sterlina (1 sterlina = 14.5 rand circa), ma anche dell’euro (il rapporto e’ 1:10), che mi permette di poter fare una spesa esagerata comprando non solo prodotti locali ma anche i soliti brand, a prezzi ridotti rispetto a quello cui ero abituato.

Un’altra cosa che si nota subito e’ la totale assenza di informazioni su grassi, proteine, sale etc.. ormai onnipresenti in ogni Tesco o Sainsbury. In Inghilterra serve a dare indicazioni alle mamme (la maggior parte balene dopo anni di diete sconsiderate e vari abusi alcolici) per aiutare nella spesa quotidiana e ridurre il numero di obesi che circolano nel territorio inglese. Immagino che in Sudafrica, dove i soli ciccioni sono i bianchi oltre i 50 anni che si godono la vita, le indicazioni non servano a niente.

La migliore sorpresa e’ nel reparto bibite. Di fianco alle solite bottiglia da 2 litri di plastica di Coca Cola, Mirinda (qui onnipresente!), Pepsi, Tab (oscena bevanda che avevo sperimentato in Atlanta), ci sono le corrispondenti bottiglie di vetro da 1.25l.

Chiunque apprezzi cocktail e bevande sa benissimo che il vetro ha qualita’ eccezionali, e che un Long Island o un Cuba Libre hanno un gusto totalmente diverso quando la coca cola viene servita dal magico involucro. Da anni non vedevo la Coca Cola in vendita in bottiglioni di vetro, probabilmente da quando da bambino andavo in Polonia sotto il regime comunista dove la Pepsi la faceva da padrona e la Coca Cola era un marchio pregiato. In Italia ho sempre trovato i tristi bottiglioni  in plastica da 2l, in Inghilterra sono arrivat a vedere quelli da 5… (sempre di plastica!).

Finalmente ora l’ultimo ingrediente delle mie pause pranzo e’ completo: 35 gradi, pasta, frutta e coca cola, mezzo immerso nella piscina.
Chiamatemi maiale, ma i rutti liberatori all’aria aperta sono tutti un’altra cosa qui in Africa.

L’esordio

Chiunque abbia mai giocato a calcio (non la versione gay a 5 indoor) conosce benissimo le sensazioni del risveglio il giorno successivo alla prima dura partita stagionale: muscoli rigidi, acido lattico in giro per il corpo, varie parti del corpo piene di tagli e qualche litro di sangue in meno
Personalmente se non vedo sangue sulle gambe o in faccia quando finisco la partita sono sempre deluso.

Ieri ho esordito nella lega sudafricana. Sotto falso nome ovviamente – Karl Henriksonn (non hanno fatto in tempo a farmi il cartellino), e solo nel secondo tempo, dopo che un virus intestinale che mi affligge da 3 giorni mi ha fatto vomitare negli spogliatoi. Avevo nelle gambe solo 5 allenamenti dopo una pausa di 3 mesi.

Purtroppo ieri era anche l’ultima partita di campionato. Qui il campionato inizia a marzo per finire a settembre. Esiste una summer league, ma non ho idea se la squadra per cui gioco (Panorama Sports Club) partecipera’ con una selezione. L’idea di giocare con 40 gradi poi non mi alletta troppo.

Dopo anni di dilettantismo allo stato puro (organizzativo e non) a Londra, e’ stato un piacere riscoprire il gusto di avere dietro un’organizzazione sportiva decente, che fornisce al tesserato tutto quello di cui ha bisogno, che gioca in un campo sportivo proprio e che ha al seguito un centinaio di tifosi.

Ho giocato per la selezione "b" (qui hanno 6 senior teams e una decina di squadra giovanili), alle 19.00, su un campo di erba cosi’ secca che purtroppo blocca ogni tentativo di scivolata. Zero attrito e fastidiose sbucciature ovunque.

Il risultato finale e’ stato una sonora sconfitta (3-0), ma il mio esordio e’ stato positivo.
Col mio primo tocco ho mandato un giocatore davanti al portiere (peccato abbia sbagliato), col secondo ho colpito la traversa con un tiro al volo e col terzo ho ucciso qualcuno che ha provato a rubarmi il pallone.
Poi la squadra e’ naufragata e io sono stato colpito da una gomitata volante in bocca.
Ovviamente, nonostante il dolore, il sangue e la paralisi facciale ho fatto finta di niente per poi bestemmiare una volta a casa.

Peccato nessuno conoscesse il mio nome. Solo Lindsey, infreddolita in tribuna, sapeva chi era quel giocatore entrato al 60′ in campo. E conoscendola, 2 ore e mezzo da sola in tribuna circondata da tifosi che parlano solo di calcio, deve essere stata una tortura. Cosa non si fa per amore.

 

 

 

 

Il giorno in cui mi sono reso conto di quanto sia complicato sposarsi

Probabilmente chiunque si sia sposato negli ultimi 100 anni, sa benissimo quello di cui sto parlando: il business matrimoniale e’ immenso.
Da (giovane) scapolo ho sempre pensato che una volta scelta la data (piu’ tardi possibile), il posto (Las Vegas possibilmente) e dove andare in viaggio di nozze (lontano), tutto il resto fosse solo una lista di dettagli da affrontare una settimana prima delle nozze.

Dopo aver passato un intero pomeriggio al Wedding Expo locale (all’interno del Coca Cola Dome, una struttura al coperto usata per sport e manifestazioni di vario tipo, che ricorda vagamente il Millenium Dome in scala minore), mi sono reso conto per la prima volta della difficolta’ di organizzare il matrimonio dei sogni della mia futura moglie, Lindsey.

L’esperienza della fiera mi e’ servita a capire perlomeno di cosa parlassero futura suocera e futura moglie. Termini tecnici come cutlery, crockery, organza, tie backs eccetera. Probabilmente anche in italiano avrei avuto problemi a capire, ma grazie alla moltitudine di esempi presenti alla fiera, ora bene o male so che quando acconsento (di pagare in futuro) non avro’ troppe sorprese.
Devo dire si’, annuire, e criticare solo e soltanto se l’occasione e’ quella giusta (ovvero negativi giudizi ascoltati precedentemente da Lindsey o sua madre o sua sorella di sfuggita).

Io devo occuparmi di poche, ma essenziali, cose: il bar (cosa avere, quanto offrire, fino a quando tenerlo aperto), la musica, gli inviti alle persone che verranno dal resto del mondo e come aiutarli a muoversi in Sudafrica. Questo e’ tutto. Ah, e pagare quando richiesto. Io come tutti gli altri fidanzati che incontravo in giro per la fiera.

Dopo 2 ore eravamo tutti nella stessa condizione: stanchi, con una o due borse di plastica piene di pamphlet come neanche allo Smau dei tempi passati, col collo rotto a forza di annuire, e con la dita sporche di cioccolata visto che tutti usavamo i numerosi stand di fornitori di fontane al cioccolato per recuperare energie perdute seguendo future consorti e suocere.

Non bastava avere speso tre weekend in viaggi e visite presso diversi posti nella Muldersdrift Valley (una pittoresca valle qui vicino dove se non hai una fattoria allora sicuramente organizzi matrimoni) prima di trovare un compromesso – tra l’altro facile visto che dopo settimane la testardaggine di ognuno riguardo dove sposarsi era scesa a livelli minimi.

Glencove, il posto selezionato (le foto sul sito non gli fanno giustiza), e’ all’interno di una struttura turistica, ma separata da un fiume e isolata dal resto degli ospiti.
La cappella e’ aperta ai lati (e vorrei vedere, fine Marzo fara’ ancora caldo, con vista sul torrente), c’e’ un parcheggio ampio per tutti, un giardino che scende sulla riva cosi’ chi vuole puo’ bagnarsi i piedi nell’acqua, o bere ascoltando il suono di uccelli e il rutto dei facoceri (no, non ce ne sono, al massimo antilopi, ma non sono sicuro se ruttino o meno visto il diverso apparato digerente e la dieta a base di erba).

Il cibo e’ servito a 50 metri scarsi dalla cappella, e non c’e’ possibilita’ di perdersi, visto che sono sicuro che la collina e’ recintata col solito filo elettrico cosi’ comune nell’intera regione.

No, non bastava, dicevo. Quello era appena l’inizio. Ci sono da scegliere i colori per il matrimonio, ad esempio. Il tema. Da buon daltonico la mia opinione e’ stata considerata nulla fin da subito, e oltre al classico bianco, voci mi dicono che il resto (decorazioni sui tavoli, e altri drappeggi credo) saranno champagne e burgundy.
Uno e’ giallognolo, l’altro rossiccio. Questo e’ quello che mi e’ stata riferito.

Le candele. I vestiti delle damigelle, e dei testimoni (tre per parte). Il mio vestito. Il trasporto. I voti nuziali. Le scarpe. Le decorazioni sulle sedie. Sui tavoli. All’ingresso. I fiori nella cappella. Quelli fuori. Quelli dentro. Chi non invitare. Come dirlo. Come pagare (sul chi deve pagare ci sono pochi dubbi). Le foto. Il video. Gli inviti. Il colore degli inviti. Il font degli inviti. Le decorazioni degli inviti. Come pagare gli inviti.

Essenzialmente, devo solo acconsentire. E, come detto prima, dire di no quando mi viene comunicato tra le righe di dire di no.

Noi futuri sposi non contiamo un cazzo. Il giorno dopo il matrimonio ci scorderemo il colore e il tipo di fiori, le decorazioni dei tavoli e il cibo, e allo stesso modo nessuno si ricodera’ come eravamo vestiti. Siamo solo accessori, necessari, ma sempre accessori. Un po’ come una presa elettrica.

Ogni tanto andiamo in blackout. Cosa non si fa per amore.