L’errore del piss-stop

All’insaputa di Lindsey (e di me), sua sorella Jill ha deciso di iscrivere tutta la famiglia alla tradizionale Irene Liquifruit race, corsa l’anno scorso nel fango.

Ormai a riposo dal giorno della finale, e senza neppure un chilometro nella gamba ma un sacco di barbecue e birra in pancia (una settimana di festeggiamenti per la finale, poi 2 settimane con mio padre…) la voglia non era altissima, specialmente dopo che, per l’ennesima volta, la mia iscrizione alla maratona di Londra era stata rifiutata (ma porca vacca, ho corso 10 maratone in giro per il mondo e Londra mi e’ sempre scivolata via. L’unica volta che mi ero iscritto, nel lontano 2005, era capitato il disastro…).

Siamo arrivati al luogo della partenza, in mezzo ad una fattoria, a 10 minuti dall’inizio. Nessun tempo per riscaldarsi o per sciogliere i muscoli, giusto il tempo di fissare i numeri sul davanti e dietro e non riuscire a pisciare.

Il problema della vescica e’ stato affrontato solo dopo 3 chilometri. Di solito, in qualsiasi gara, tento di non fermarmi mai, al massimo rallentare giusto per riuscire a bere l’acqua – che regolarmente mi va di traverso. Stavolta, complice la mancanza di preparazione, ho dovuto fermari al pit stop per uno scarico liquido durato 45 secondi.

45 bastardi secondi che non ho mai recuperato. Il risultato finale e’ stato un pessimo 50 minuti e 20 secondi.
Considero una 10km fatta decentemente se scendo sotto i 5 minuti a chilometro. Stavolta niente da fare.
La mancanza di voglia e di allenamento si e’ fatta sentire.
La strada e’ lunga verso le (para)olimpiadi del 2012! (sezione daltonici).

Risultato finale :198esimo su 1814. (l’anno scorso 206esimo su 1731 con un tempo migliore)…

p.s. Intanto sono venuti fuori i risultati dell’altra 10km. A quanto pare sono arrivato 72esimo, probabilmente primo bianco italiano/polacco (come al solito)…

The Olgiati-Thomson Team

At the irene liquifruit race 2008

Salve, sono la caldaia. Posso entrare?

Che bella l’estate che sta arrivando. Fa un caldo della madonna, nuoto nella piscina, poi arriva il solito temporalone elettrico di 20 minuti e poi ancora sole, fino alle 7.30.

Fai a dormire, e piove. Ti svegli, e ci sono 30 gradi.

Dormi. Addirittura ti sembra che la pioggia, che tanto ti piace quando dormi, ha fatto capolino in casa. Ti svegli la mattina e, sorpresa, mezza casa e’ allagata. Cammini sopra a piedi nudi cercando secchi e stracci, e l’acqua e’ caldiccia. Non possono essere stati i cani, pisciano un sacco ma ormai la fanno fuori.

Magari ladri simpatici? Un’intera ganga di pisciatori? Controllo il televisore e la wii e tutto e’ a posto.

Guardo sopra. Plik plok fuck. E’ la caldaia, che durante la notte ha deciso di rompersi.

Soffitto semi distrutto (di legno, rovinato), acqua tiepida dovunque, e sono appena le 5 e venti di mattina.

La moglie va un po’ in panico e tu decidi la prossima mossa. Bisogna alleggerire la pressione della caldaia.

E ti fai una doccia calda di 30 minuti mentre lei chiama l’assicurazione.

Good morning, I'm the broken geyser

The damage

Water everywhere

The hole in the roof

There is a new boiler up there...

Eugenio, il sudafricano

Dopo due settimane, e’ tornato in Italia.

Due settimane di duro (suo) lavoro, di bottiglie (mie) trovate praticamente tutte vuote, di chiaccherate finalmente in italiano e di mangiate sotto il sole.

E’ strano come in cosi’ poco tempo mi sono riabituato alla presenza di qualcuno che, tutto sommato, e’ stato sempre intorno a me dall’anno zero (1977) fino al 2001.

Mi mancavano i brontolii, gli "olafeeeeeeeeeeeeek, vieni qua", le richieste del bicchiere di vino (o grappa, o vodka, o jack daniels) e l’odore di fumo e uomo vero di 64 anni.

Vedere interagire mio padre in un paese di cui non conosce la lingua, ma solo alcune parole chiave (rubate a Wilbur Smith), senza nessuno problema e’ sempre una sorpresa. A quanto pare basta conoscere l’italiano per andare in giro per il mondo, come ha fatto durante gli anni 50, 60, 70 e 80.

Capisco da chi prendo il gusto per le storie.
Mio padre ne racconta migliaia, frutto dei suoi viaggi di lavoro in un’epoca in cui andare in Svizzera era gia’ un’impresa, e dove un viaggio in un altro continente ti riempiva 5 pagine di passporto con visti e stampi vari.
Tutto quello che succede e’ una scusa per iniziare un "mi ricordo quando….". Non ci sono morali alla fine della storia, tante storie non vengono neppure completate, ma sono tutte belissime, soprattutto quando entrano in gioco nomi e facce che io ho conosciuto solo 30 anni piu’ tardi.

Ho imparato piu’ in due settimane, guardandolo e aiutandolo a saldare, costruire, fissare, incollare, inchiodare, avvitare e tagliare il vetro che nei precedenti 30, quando non avevo una casa e una famiglia di cui occuparmi.

L’ho portato ad incontrare gli elefanti, un suo sogno da bambino, e quella mattina sparandoci 100km in mezzo al nulla e’ stata davvero fantastica. Ha portato un elefante in giro, ma immagino che le sue dita, puzzando di sigaretta, infastidivano troppo la proboscide del pachiderma…

Ieri ha preso ed e’ ripartito verso l’Italia, verso Olga, Bart e il lavoro. E un mondo in una lingua conosciuta.
Un mondo che ancora bestemmia per Glock (si, abbiamo visto il gran premio in diretta, per fortuna dopo Milan Napoli ci ha restituito il sorriso…), un mondo che, tutto sommato, gli ha dato meno di quello che meritasse.

Qui rimane il tavolo spostato nel retro, con una settimana enigmistica ormai quasi completata e quel bicchiere di vino ormai vuoto…

Buon viaggio papa’ , e grazie per tutto il lavoro svolto, per la compagnia che hai fornito a me, a Bruce, a Cucciola e a Lindsey. Finalmente ho avuto qualcuno con cui mangiare e bere in true italian style!

(qui sotto, qualche foto della sua permanenza sudafricana)

Dad working in the back

Ginger beer time!

Wine is cheap, let's buy some...

The elephant walking dad

The elephant and dad

A special kiss

Yep, it was a moist one!

By the pool

In the pool!

Eating some fish

The tent

Dad and Lindsey